La versione italiana del sito All About Jazz ha pubblicato recentemente uno splendido intervento di Paolo Fresu, apparso in appendice al libro di Chet Baker, Come se avessi le ali. Le memorie perdute edito nel luglio 2009 da Minimum Fax nella collana "I Quindici" a cura di Marco di Gennaro.
Nel libro per la prima volta Chet Baker – il "James Dean" dei musicisti, progenitore del cool jazz – ci fa ascoltare la sua vera voce, lasciandoci entrare nel suo mondo scompigliato e affascinante. In questo prezioso memoriale, scoperto a dieci anni dalla sua morte misteriosa, si susseguono ricordi d'infanzia, vividi e complicati rapporti d'amore, l'esperienza del carcere e delle droghe e infine – naturalmente – la musica. Durante tutto l'arco della sua vita Chet Baker torna sempre infatti a rifugiarsi sotto le ali accoglienti delle note della sua tromba e della sua voce inconfondible.
Ecco un estratto dell'intervento di Fresu.
Nello scrivere della poetica e della vita di Chet Baker si ha l'impressione di avere a che fare con qualcosa di incompiuto e sfuggevole. Molto si sa della sua storia ed altrettanto si è scritto, ma restano punti oscuri, così come oscura e tormentata è stata la sua carriera. Irrisolta è ad esempio la natura della sua morte e sfuggevole è la sua personalità dal carattere forte e allo stesso tempo fragile.
Fragile è la sua voce dolce e suadente che si incrina al canto di "I'm a Fool to Want You" ripreso dalla camera discreta del regista francese Bertrand Fèvre nel bellissimo cortometraggio Chet's Romance del 1987, e forte era la sua passione giovanile per le belle auto e le belle donne.
C'è però uno stridente squilibrio in tutto ciò. Perché se la sua vita e la sua morte sono ancora oggi avvolte dal mistero, la sua musica era straordinariamente limpida, logica e trasparente. Forse una delle più razionali ed architettonicamente perfette della storia del jazz.
Analizzando i suoi assolo di tutte le epoche è raro trovarvi una nota fuori posto. L'impressione è di essere davanti a una struttura ideata con estrema chiarezza, dove ogni suono si incastra in un ricco mosaico assemblato in forme perfette e con tasselli dai colori sgargianti che bene si amalgamano tra loro.
È così per la linea melodica nonché per il suo tempo perfetto e rilassato, forse il più cool di sempre.
Ci si chiede dunque come mai la complessità dell'uomo e il suo apparente disordine (conflittuale?) abbiano potuto esprimersi in musica attraverso un rigore formale così logico e preciso.
Lungi da noi il volere dare risposte. Non affermeremo niente di nuovo nel dire che Chet incarnava il luogo comune di genio e sregolatezza, e non è stato né il primo né l'unico artista contemporaneo a "rappresentarsi" con un volto così multiforme. Una cosa è certa: in questo bailamme di mood e di pensieri nessuno potrà dire che egli sia stato incoerente con se stesso. Scostante sì, ma non incoerente.
La sua sterminata discografia è sempre stata qualitativamente di alto livello anche quando, negli ultimi anni della sua carriera, si circondava spesso di musicisti mediocri o comunque molto inferiori ai suoi standard. Di alto livello perché la sua tromba riusciva sempre a ritrovare il filo del discorso perduto nei meandri del chorus. Non una nota inutile, non un errore ma sempre uno swing misurato (e smisurato) che si accompagnava a un'intuizione melodica felice sostenuta da un progetto disegnato con determinazione e lealtà.
E' stato un racconto avvincente, il suo. Scritto in capitoli che si inanellano l'uno dietro l'altro con la maturità dei grandi e con il rigore di coloro che pensano per dinamiche partendo dall'inizio di una storia per svilupparla successivamente e concluderla tracciandone una parabola perfetta.
Parabola che rappresenta con le note ciò che Chet ha vissuto e che in parte è raccontato in questo libro che ne testimonia solo la proiezione verso la nota di volta e i tempi luminosi. Il resto lo si conosce.
Chet era solo se stesso. Solo e se stesso. A differenza di Miles Davis, non è stato di certo un innovatore che ha contribuito in modo determinante allo sviluppo del jazz, ma oggi è nell'immaginario collettivo per avere attraversato i tempi come una foglia in balìa dei venti.
Ma sarebbe riduttivo pensarla solo in modo così romantico.
Se il trombettismo moderno si divide tra i "browniani" , i "davisiani" e gli "hubbardiani," si farebbe torto alla storia se non si ipotizzasse una categoria altra che è quella dei "bakeriani," così intrisa di poesia e di pathos....
Per leggere il resto dell'intervento clicca qui.
Per acquistare il libro sul sito Internet Book Shop potete visitare questo indirizzo.
Ecco il video di I'm a Fool to Want You, registrato a Parigi nel novembre del 1987, tratta dal cortometraggio Chet's Romance.
Nel libro per la prima volta Chet Baker – il "James Dean" dei musicisti, progenitore del cool jazz – ci fa ascoltare la sua vera voce, lasciandoci entrare nel suo mondo scompigliato e affascinante. In questo prezioso memoriale, scoperto a dieci anni dalla sua morte misteriosa, si susseguono ricordi d'infanzia, vividi e complicati rapporti d'amore, l'esperienza del carcere e delle droghe e infine – naturalmente – la musica. Durante tutto l'arco della sua vita Chet Baker torna sempre infatti a rifugiarsi sotto le ali accoglienti delle note della sua tromba e della sua voce inconfondible.
Ecco un estratto dell'intervento di Fresu.
Nello scrivere della poetica e della vita di Chet Baker si ha l'impressione di avere a che fare con qualcosa di incompiuto e sfuggevole. Molto si sa della sua storia ed altrettanto si è scritto, ma restano punti oscuri, così come oscura e tormentata è stata la sua carriera. Irrisolta è ad esempio la natura della sua morte e sfuggevole è la sua personalità dal carattere forte e allo stesso tempo fragile.
Fragile è la sua voce dolce e suadente che si incrina al canto di "I'm a Fool to Want You" ripreso dalla camera discreta del regista francese Bertrand Fèvre nel bellissimo cortometraggio Chet's Romance del 1987, e forte era la sua passione giovanile per le belle auto e le belle donne.
C'è però uno stridente squilibrio in tutto ciò. Perché se la sua vita e la sua morte sono ancora oggi avvolte dal mistero, la sua musica era straordinariamente limpida, logica e trasparente. Forse una delle più razionali ed architettonicamente perfette della storia del jazz.
Analizzando i suoi assolo di tutte le epoche è raro trovarvi una nota fuori posto. L'impressione è di essere davanti a una struttura ideata con estrema chiarezza, dove ogni suono si incastra in un ricco mosaico assemblato in forme perfette e con tasselli dai colori sgargianti che bene si amalgamano tra loro.
È così per la linea melodica nonché per il suo tempo perfetto e rilassato, forse il più cool di sempre.
Ci si chiede dunque come mai la complessità dell'uomo e il suo apparente disordine (conflittuale?) abbiano potuto esprimersi in musica attraverso un rigore formale così logico e preciso.
Lungi da noi il volere dare risposte. Non affermeremo niente di nuovo nel dire che Chet incarnava il luogo comune di genio e sregolatezza, e non è stato né il primo né l'unico artista contemporaneo a "rappresentarsi" con un volto così multiforme. Una cosa è certa: in questo bailamme di mood e di pensieri nessuno potrà dire che egli sia stato incoerente con se stesso. Scostante sì, ma non incoerente.
La sua sterminata discografia è sempre stata qualitativamente di alto livello anche quando, negli ultimi anni della sua carriera, si circondava spesso di musicisti mediocri o comunque molto inferiori ai suoi standard. Di alto livello perché la sua tromba riusciva sempre a ritrovare il filo del discorso perduto nei meandri del chorus. Non una nota inutile, non un errore ma sempre uno swing misurato (e smisurato) che si accompagnava a un'intuizione melodica felice sostenuta da un progetto disegnato con determinazione e lealtà.
E' stato un racconto avvincente, il suo. Scritto in capitoli che si inanellano l'uno dietro l'altro con la maturità dei grandi e con il rigore di coloro che pensano per dinamiche partendo dall'inizio di una storia per svilupparla successivamente e concluderla tracciandone una parabola perfetta.
Parabola che rappresenta con le note ciò che Chet ha vissuto e che in parte è raccontato in questo libro che ne testimonia solo la proiezione verso la nota di volta e i tempi luminosi. Il resto lo si conosce.
Chet era solo se stesso. Solo e se stesso. A differenza di Miles Davis, non è stato di certo un innovatore che ha contribuito in modo determinante allo sviluppo del jazz, ma oggi è nell'immaginario collettivo per avere attraversato i tempi come una foglia in balìa dei venti.
Ma sarebbe riduttivo pensarla solo in modo così romantico.
Se il trombettismo moderno si divide tra i "browniani" , i "davisiani" e gli "hubbardiani," si farebbe torto alla storia se non si ipotizzasse una categoria altra che è quella dei "bakeriani," così intrisa di poesia e di pathos....
Per leggere il resto dell'intervento clicca qui.
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Ecco il video di I'm a Fool to Want You, registrato a Parigi nel novembre del 1987, tratta dal cortometraggio Chet's Romance.
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