venerdì 7 maggio 2010

Epica jazz

Voglio segnalare un bel post, pubblicato da Aldo Lastella sul suo blog Controfagotto con il quale recensisce il recente concerto tenuto da Henry Threadgill a Roma.
Li sentivo arrivare dai quattro angoli del mondo, al galoppo, tutti convergendo verso un solo destino. Mi richiamavano alla mente il meraviglioso incedere dell’esercito russo per la battaglia del Grande Lago Salato nell’Aleksandr Nevskij di Ejsenstein. Chi non l’ha mai visto al cinema non può capire l’emozione di quel campo lunghissimo (mai visti di così lunghi, forse Anghelopulos…), bianco, un infinito piano candido sovrastato da una enorme chiazza di cielo grigio. E in fondo a quel bianco una piccolissima turbolenza nell’orizzonte, come un’alba incipiente, che con il passare dei minuti mangia lo spazio, lo occupa e lo trasforma in corpi e cavalli, la possente cavalleria di Nevskij, i cavalieri dell’Apocalisse sfrenati aggrediscono l’occhio dello spettatore. Altro che il treno dei Lumière, qui c’è da scansarsi sul serio. L’epica si fa cinema. Si avverte il vento al passaggio dei cavalli.
Troppa epica? Sì forse. In fondo stiamo parlando di jazz. Jazz? Sì, della potenza che Henry Threadgill, irriducibile guerriero della musica, sa ancora accendere sul palco. Si è presentato a Roma in quintetto, ma sembrava un esercito. Chitarra acustica elettrificata, uno strano contrabbasso-chitarrone, batteria e basso tuba. Più il leader con i consueti flauto e sassofoni. Ma non è stata semplicemente una seduta di jazz. Non era quella cosa stanca, rutiniera e molle che oggi chiamano jazz. Qui c’erano lancieri che partivano ognuno dal proprio continente: lanciati lungo piste accidentate, desertiche o attraversate da corsi d’acqua, sassose o perfettamente battute. Territori differenti, sentieri diversi, per tutti appuntamento là. Per capire bastavano i pochi minuti del bis concesso da Threadgill e i suoi. Sembravano non doversi mai incontrare le cinque linee ritmico-melodiche, giravano apparentemente impazzite, cozzavano, si avvicinavano, poi all’improvviso scartavano e riprendervano una strada tutt’affatto lontana dalle altre. Poi eccole con un che di sorprendente incontrarsi in un accordo finale che sembrava uscito dallo swing degli anni 40. Come diavolo ci erano arrivati? E’ il miracolo del jazz.
Questo è il concerto degli Zooid di Threadgill, uno degli ultimi grandi del jazz, un musicista che non si accontenta. Capace anche di barare in modo fantastico, truccando le parti scritte come fossero improvvisazioni. E che sappia barare alla grande lo si poteva indovinare dai mezzi sorrisi che sfoderava nel bel mezzo di quel fantastico pulviscolo sonoro del quale si era circondato. Musica che non si può dire. Chi ha le parole per raccontare quella pioggia di colori dominata da Threadgill con la pazienza e la serenità di uno sciamano, un uomo della medicina che sa come farci sentire vivi?
Sul palco con lui José Davila (trombone, basso tuba), Liberty Ellman (chitarrista, un prestigiatore pur così giovane), Stomu Takeishi (contrabbasso), Elliott Kavee.

Ecco un video degli Zooid di Henry Threadgill, che presentano All The Way Light Touch

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