giovedì 27 maggio 2010

Màrcio Rangel: Capua si tinge di sonorità verde-oro

In occasione della sesta edizione della kermesse “Luogo della Lingua Festival” promossa dall’associazione “Architempo” che coinvolge la città di Capua ogni anno e che vede la letteratura formare coalescenze sublimi con cinema, teatro, arte visiva, audiovisiva e multimediale, musica e tutte le sue frizzanti sfumature, l’architettura, la scultura e la fotografia. Una varietà espressiva che appartiene e che non poteva non essere celebrata a Capua, uno dei luoghi simbolo dell’espressione che prima di ogni altra ci appartiene, la lingua italiana. Capua, considerata da Cicerone “Porta del Sud” fino all’Unità d’Italia, custodisce la “Carta di Capua” o “Placito Capuano”, documento riconosciuto dagli storici come il primo del volgare italiano, quindi vanto per il patrimonio linguistico e culturale.
Nella splendida location di Palazzo Lanza, Storica costruzione quattrocentesca, venerdì 28 maggio, va in scena il chitarrista - compositore brasiliano Marcio Rangel. Il superbo musicista di Rio Grande do Norte ha iniziato a suonare chitarra (elettrica ed acustica) da autodidatta, per poi perfezionarsi presso il Conservatorio di D'Alva Stella (RN). A 17 anni forma il suo primo gruppo, suonando e registrando con vari artisti della sua amata terra, e grazie alla partecipazione in numerosi seminari di musica in Italia che sviluppa la sua tecnica “distinct-tecnique”, suonando da mancino con la chitarra destrorsa. Le peculiarità di questa tecnica sono suonare le note basse con l'anello al mignolo e la melodia con pollice, indice e medio. In questo modo si ottiene un suono spigoloso e di volume sui bassi e vellutato e delizioso nelle altezze superiori, dando vita a nuove posizioni d’accordo. Il suo primo lavoro "Palavras do Som" (parole di suono) in qualità di solista e compositore, è stato licenziato nel 2002 dalla casa discografica italiana "Azzurra Music" (Verona). Integrandolo nel florilegio della collezione "Guitar Masters Club" (di cui ne fanno parte Toquinho, Paulinho, Nogueira, Irio De Paula, Eros Roselli). Nel 2003, la rivista italiana “Guitar Player” recensisce "Palavras do Som", citando la tecnica unica di Márcio, e paragonandolo al "guru della musica brasiliana" Egberto Gismonti, raccomandando a coloro che amano veramente la tradizione chitarristica brasiliana. La composizione "Romance do Sertão" ha debuttato nel "Museo di Santa Maria della Scala (Siena) dove ha ricevuto ampio successo di consensi in diversi periodici musicali. Egli ha ricevuto molta attenzione dalla stampa europea, tra cui una intervista della rivista “New Age”, mettendolo sullo stesso piano di artisti internazionali come Pierre Bensusan, Regina Carter, Bliss, Shaurasia e altri. Ha anche ricevuto un premio per la composizione al Concorso Internazionale di Chitarra di Poggibonsi Siena. Degne di nota le sue collaborazioni in numerosi concerti in duo e trio, che gli hanno permesso di calcare le migliori platee e Festival Internazionali con: Fabrizio Bosso, Gilson Silveira, Rogerio Botter Maio, Ricardo Da Silva, Ettore Bonafé, Roberto Taufic, Cacau Arco Verde, Wagner Tse, Henry Kneuer, Giovanni Palombo.
Quindi lasciamoci pervadere dalle scintille anìmiche di Marcio, magari degustando un buon Falerno D.O.C. rapiti dalle alchimie cerebrali di questa splendida “Terra di Lavoro”.

Ecco un video di Màrcio Rangel in duo con Fabrizio Bosso, che presentano una bella versione di O Grande Amor, live al al Centro Civico di Tavagnacco (UD) nel 2009

Il vocalist Elling in sintonia con i maestri

Sul sito del quotidiano San Francisco Chronicle è stato pubblicato uno splendido articolo con intervista del grandissimo vocalist Kurt Elling, in occasione del concerto che terrà domenica prossima nella città californiana insieme alla Count Basie Orchestra, dove proporrà una rivisitazione della straordinaria musica nata dall'incontro negli anni '60 tra Frank Sinatra e la originale Basie Orchestra.
Ecco un estratto dell'intervista:
"That music is fully ingrained in my consciousness," says Elling, the Grammy-winning vocalist who counts Sinatra among the many musicians and poets who've fed his expansive art. "To sing these charts with the Basie band is a thrill of a lifetime, and that's not hyperbole or exaggeration. I've worked with a number of big bands, but there's nothing in life like the Basie band."
Sinatra was equally jazzed about merging his voice with the band's bracing sound. "I've waited 20 years for this moment," Sinatra said when he began recording the "Sinatra-Basie" album in 1962. It was the first of three collaborations with the minimalist piano master and his orchestra, which epitomized the relaxed propulsion of swing. Basie died in 1984, but the band continues under the leadership of trombonist Bill Hughes.
Elling, a literary-minded musician who was studying at the University Chicago Divinity School in the early '90s when he heard the siren call of jazz, will sing a number of tunes from the live 1966 Basie-Sinatra summit, "Sinatra at the Sands." He may do "Street of Dreams" or "You Make Me Feel So Young," "I've Got You Under My Skin" or perhaps "One for My Baby." SFJazz, which is producing the show, got the original charts from the Quincy Jones Archives in Los Angeles.
A largely self-taught singer with a rich, fluid baritone voice, Elling is equally adept interpreting ballads, scatting on standards and setting his original lyrics to improvised jazz solos, in the tradition of vocalese masters like Jon Hendricks. But unlike Hendricks - a prime inspiration, as is former San Francisco singer Mark Murphy - Elling draws on and refers to poets as diverse as Rumi, Rilke and Rexroth in his work.
"I've tried to educate myself in the world and what's beautiful and what has meaning and is lasting. Then I just follow my intuition and see how it fits," says Elling, who has created multidisciplinary works for Chicago's Steppenwolf Theatre.
He's on the phone from the Los Angeles recording studio where he and famed pop producer Don Was are working on Elling's new disc, "The Gate." Like his cinematic 2007 album, "Nightmoves," which encompassed everything from a bopping Betty Carter tune to Elling's musical setting of the Theodore Roethke poem "The Waking," the new record bridges a range of material and arrangements. The mix includes the Miles Davis-Bill Evans classic "Blue in Green" and King Crimson's "Matte Kudasai."
"We're trying to get a sound that is a signature event, in terms of the material and the way the arrangements play themselves out," says Elling, 42, who won this year's Grammy for best jazz vocal album for "Dedicated to You: Kurt Elling Sings Coltrane and Hartman." He aims for an album that "has a heft, a kind of ethos, not just a record with a bunch of tunes."
Elling loves the signature sound of those evergreen Basie-Sinatra records. Some records define a certain kind of music, "the way certain things in life sound," he says, and those albums do that.
"These were artistically mature men, emotionally and intellectually in their creative prime," Elling says. This music, he adds, expresses the experiences of men who are "broken-hearted but strong, bloodied but unbowed." As for Sinatra, "he sings with this incredible sense of swing, completely relaxed in every setting. He only chooses material he can get 100 percent behind."
A questo link è possibile leggere l'articolo integrale.

Ecco un video di Kurt Elling, che presenta una splendida versione di My Foolish Heart, registrata al Montreal Jazz Festival il 4 luglio 2007.

Vittoria Jazz Festival 2010

Gli appassionati dicono che il grande jazz si esprima soprattutto attraverso una talentuosa capacità di improvvisazione; ed è vero.
Il nostro jazz, invece, quello che caratterizza il “Vittoria Jazz Festival Music & Cerasuolo wine” – giunto alla terza edizione - non è frutto di improvvisazione, ma del duplice impegno di un’Amministrazione Comunale che, da un lato, ha operato con grande lungimiranza e, dall’altro, di un artista eccezionale come Francesco Cafiso, che del festival è il direttore artistico.
Un binomio dimostratosi vincente e che ancora una volta, ne siamo certi, darà risultati di grande prestigio e riuscirà a trasformare la nostra città, dal 29 maggio al 30 giugno, nella capitale italiana del jazz. E nomi quali Flavio Boltro, Matteo Brancaleoni, Enrico Rava, Javier Girotto e Aires Tango, l’Orchestra Jazz del Mediterraneo e Maurizio Giammarco, Bob Mintzer e Kenny Barron, oltre, ovviamente, allo stesso Francesco Cafiso sono garanzia di un altissimo standard qualitativo della musica jazz – di carattere internazionale - che sarà possibile ascoltare nello splendido scenario di Piazza Enriquez.
Positiva conferma anche per i Jazz Club diVino dei venerdì della rassegna, curati dal Consorzio di tutela del Cerasuolo di Vittoria, che ospiteranno artisti quali Gianni Cazzola, Nicola Angelucci e Daniela Spalletta, e daranno modo ai tantissimi appassionati di jazz di degustare dell’ottimo Cerasuolo docg ed altri vini doc di Vittoria, che accompagneranno piatti tipici della nostra cucina mediterranea, realizzati con il buon pesce di Scoglitti e con le nostre primizie orticole.
Ancora una volta, quindi, la scommessa è vinta! Questo anche grazie alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha concesso il suo alto patrocinio alla rassegna, ed alla Provincia Regionale di Ragusa ed all’Assessorato Regionale al Turismo.
Un doveroso ringraziamento va anche a tutti gli Enti ed alle aziende che, a vario titolo, sostengono il “Vittoria Jazz Festival Music & Cerasuolo Wine”. Quest’anno, come iniziativa collaterale, il festival ospiterà nella Sala Mazzone dell’Antica Centrale Elettrica la mostra personale di Andrea Cantieri, pittore catanese che è anche musicista fortemente influenzato e ispirato dall’universo jazzistico, che stempera il proprio vissuto in un binomio artistico che ingloba in un unicum catartico il suono all’immagine.
Per informazioni: www.vittoriajazzfestival.it

La musica improvvisata non è uguale al jazz

Sul sito The News Record è apparso un interessante articolo che cerca di spiegare il rapporto tra improvvisazione e jazz. Ecco un estratto dell'articolo.
Despite my indifference for Wynton Marsalis’ music, I have to say I subscribe to a mindset attributed to the famed trumpeter: jazz is free-form music. I can hear jazz in everything, but everything is not jazz.
Marsalis, and myself consequently, can be considered as barriers to the growth and exploratory nature of jazz.
But still.
Just because there are electric guitars in a song doesn’t make it rock and roll. Violins don’t make something classical (Dave Matthews Band is not classical, classy or good.).
Similarly, just because there is improvisation in something, it isn’t jazz. I cringe every time I hear the saxophone in “Careless Whisper,” which makes me want to crash my car into a black hole while lighting myself on fire. Hopefully the afterlife has nothing to do with synthesizers, either. Then, if there is such a thing as an afterlife, I hope I can meet Adolphe Sax and tell him all the havoc his invention has caused.
Then have a cocktail with Dex.
Music changes; that’s just the nature, I suppose. I have to even be happy that jazz exists and how the blues birthed it. However, I really can’t deal with some of the stuff being labeled as jazz nowadays.
Jazz changes, I can deal with that. I can cope with avant-garde styles and seemingly random phrases and dissonance. I’ve had a moment of clarity while listening to Albert Ayler tunes.
For instance, listen to a song like “Giant Steps” by John Coltrane. Then, listen to “Spiritual.” Then listen to “Ascension.” It’s the same guy, but you can hear an evolution in the way he plays. “Ascension” can sound like noise, I admit, but that’s just how it turned out. That was Trane’s expression, which is beautiful.
Pharaoh Sanders is virtuosic, too, in the song. It’ll take me a while to fully understand what’s being said — if it’s anything at all — but I’m confident I’ll be able to someday.
On the other hand, even if something sounds good, it isn’t necessarily jazz. The Jazz Messengers played jazz. You can hear some bluesy parts of songs, but there’s nothing holier than Art Blakey, Wayne Shorter, Lee Morgan, Bobby Timmons and the bass lines of Jymie Merritt.
It doesn’t get better than that. Really.
Forget all the fog machines and playing to sold-out crowds in auditoriums and huge venues. Jazz is meant to be played in an intimate place for an intimate experience, even if it reminds of you going on a bender and sinning in bulk.
Think about it. I’ll leave with a quote, not even mine, but one of the great Duke Ellington.
“By and large, jazz has always been like the kind of a man you wouldn’t want your daughter to associate with.”
Per leggere l'articolo integrale visita questo indirizzo.

Il Jazz in Italia: dallo Swing agli anni '60, concerto di presentazione

Venerdi' 28 maggio all'Auditorium Parco della Musica di Roma il concerto di presentazione del secondo volume del critico Adriano Mazzoletti dal titolo "Il Jazz in Italia. Dallo swing agli anni Sessanta" (EDT) con la partecipazione di oltre 50 musicisti del jazz italiano, in un concerto che sarà trasmesso in diretta su Radio3 a partire dalle ore 21.
La storia del grande jazz italiano rivive per una sera all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Più di cinquanta musicisti si esibiranno venerdì 28 maggio alle ore 21 nella Sala Petrassi per presentare il nuovo libro di Adriano Mazzoletti, "Il Jazz in Italia. Dallo swing agli anni Sessanta", pubblicato da EDT.
Alla conversazione a più voci tra esperti di jazz italiano e non solo - Leone Piccioni, Marcello Piras, André Clergeat, Marco Santoro e naturalmente l’autore del testo, Adriano Mazzoletti - si alterneranno momenti musicali dedicati alla straordinaria stagione del jazz italiano dal secondo dopoguerra agli anni Sessanta.
Si esibiranno formazioni storiche riunitesi per l’occasione, come il Sestetto Dino & Franco Piana con Sandro Deidda, i Saxes Machine di Bruno Biriaco, il Trio Amedeo Tommasi-Giovanni Tommaso-Franco Mondini e la Nuova Roman New Orleans Jazz Band, alcuni fra i protagonisti di quegli anni, da Giampiero Boneschi, a Gianni Coscia, a Carlo Loffredo, e artisti della scena attuale come Enrico Pieranunzi (anche in veste di musicologo e autore dell’introduzione al volume), Rosario Giuliani, Ramberto Ciammarughi, Franco Piana, Luca Begonia e il Quintetto Swing di Emanuele Urso. La St. Louis Big Band diretta da Antonio Solimene infine renderà omaggio all’opera di Piero Piccioni con la voce della figlia Valentina e Marcello Rosa al trombone.
A Piero Angela il compito di introdurre la serata, alternando le digressioni degli esperti ai brani, tra swing, dixie e jazz di oggi.
Per ascoltare in diretta il concerto clicca qui.

È il 1943: mentre dalla Sicilia le truppe americane risalgono lo Stivale, liberandolo dal nazifascismo, il jazz si afferma definitivamente come la musica del momento nelle sue varianti – dai solisti nei piccoli club alle grandi orchestre, dell’EIAR prima e della RAI poi. Attraverso la radio, artisti come Piero Piccioni, Armando Trovajoli, Oscar Valdambrini, Giampiero Boneschi e Gianni Basso portano definitivamente il jazz nelle case italiane. Adriano Mazzoletti, in questo secondo volume de Il Jazz in Italia, soppesa e descrive gli eventi che nei tre decenni dal ’35 al ’65 circa hanno plasmato il suono italiano: attraverso ritagli di giornale, carteggi privati, archivi pubblici e ordini di servizio, programmi radio, film, registrazioni di concerti e molti altri documenti, Mazzoletti mette in risalto l’abilità di quei musicisti-pionieri, che nel dopoguerra hanno saputo declinare il linguaggio del jazz rispetto alla canzone e alla musica “ufficiale” unendo il gusto per la melodia allo swing americano. Nei due tomi che compongono il volume c’è spazio anche per la storia recente d’Italia, dalla Liberazione alle prime elezioni del ’48 fino agli anni Sessanta della DC. Scorrono le vicende musicali e non solo delle grandi città come Roma (capitale del cinema, e quindi delle colonne sonore), Milano (epicentro dell’editoria musicale), Torino (sede della grandi orchestre), ma – per la prima volta – viene pesato l’apporto della provincia, ben più di una semplice periferia jazz dell’impero. È in centri come Perugia, Pescara o Verona infatti che negli anni ’70 nasceranno i grandi festival, destinati a durare negli anni, mentre è nell’area americanizzata di Trieste (il famoso TLT – Zona A) o durante la Liberazione nel Foggiano, da cui partivano gli aerei statunitensi, che il jazz italiano può confrontarsi liberamente con quello d’Oltreoceano.
Parallelamente a tutto questo, Mazzoletti compila un poderoso apparato di scritti altrui, documenti d’epoca, indici di consultazione. Una vera e propria geografia del jazz italico, utile per districarsi nel ramificato mondo dei nomi, delle orchestre e della critica del periodo, che attraverso la carta stampata ha esercitato un ruolo basilare nello sviluppo e nella crescita di un suono, quello italiano, oggi riconosciuto internazionalmente a livelli di eccellenza.

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mercoledì 26 maggio 2010

Podcast - Keith Jarrett Trio Live at Allentown

La trasmissione A Todo Jazz dell'emittente di stato spagnola Radio 3, ha trasmesso recentemente un concerto del trio di Keith Jarrett, con Gary Peacock al contrabasso e Paul Motian alla batteria, registrato al Deer Head Inn della sua citta natale Allentown nel 1982.

Qui è possibile ascoltare il concerto in streaming, o scaricare il podcast in formato Mp3.

James Carter At Newport su JazzSet

La celebre trasmissione radiofonica della NPR, JazzSet condotta da Dee Dee Bridgewater, ha presentato questa settimana un magnifico concerto del sassofonista James Carter live al Newport Jazz Festival.

Qui si può ascoltare questo strepitoso live:

Al Di Meola al Blue Note di Milano

Notizia tratta dall'edizione milanese del sito del Corriere della Sera:
Dall'Argentina alla Spagna passando per il Marocco e, naturalmente, l'Italia. È un giro del mondo sulle sei corde quello che Al Di Meola regala con i suoi concerti. Un viaggio che da mercoledì 26 a venerdì 28 maggio si ripeterà due volte per sera al Blue Note. Un rapporto particolare lega il musicista italoamericano a Milano. Al Di Meola torna spesso a suonare in città e uno dei due dischi della serie «World Sinfonia», uscito nel 2008, si intitola proprio «La Melodia: live in Milano». Sul palco l'artista sarà accompagnato da Fausto Beccalossi alla fisarmonica, Peo Alfonsi alla chitarra, Gumbi Ortiz alle percussioni, Peter Kaszas alla batteria e Victor Miranda al basso.
In una performance che mette in luce l'anima più acustica di Al Di Meola. Fatta eccezione per un ritorno di fiamma di quattro anni fa, immortalato dal dvd del concerto di Leverkusen, il chitarrista imbraccia sempre meno la chitarra elettrica. Una scelta obbligata anche dai disturbi all'udito causati da anni di volumi troppo alti. Dei suoi 55 anni, infatti, Di Meola ne ha trascorsi più di 30 sul palco e in sala di registrazione. Nel 1974, non ancora ventenne, si è unito a Chick Corea nella band dei Return to Forever. In breve tempo si è fatto strada a suon di assoli velocissimi e di una tecnica innovativa. Caratteristiche racchiuse già nel suo primo album solista, «Land of the Midnight Sun», datato 1976.
Tante le collaborazioni prestigiose nel corso della sua carriera: dall'esperienza con Paco De Lucia fino a quella tutta italiana con Pino Daniele. Album dopo album il nome di Al Di Meola è diventato sinonimo di «fusion». Per avere un'idea del suo stile basta ascoltare il suo secondo lavoro, «Elegant Gypsy», in cui le sperimentazioni jazz incontrano le influenze latine. Il risultato è uno stile che per ben 14 volte gli vale il titolo di «miglior chitarrista» assegnato dalla rivista Guitar Magazine.

Ecco un video di Di Meola live a Burghausen (Germania) il 19 marzo 2009

To The One - John McLaughlin 4th Dimension

Nelle note di copertina di To the One, il chitarrista John McLaughlin, scrive un breve saggio sulla profonda ispirazione che A Love Supreme di Coltrane ha avuto su di lui sia musicalmente che spiritualmente. Nella Mahavishnu Orchestra, quel debito era evidente; inoltre McLaughlin ha anche reso omaggio diretto al sassofonista sull'album After the Rain, che presentava non solo materiale di Coltrane, ma vedeva anche la partecipazione del batterista Elvin Jones.
Con il suo gruppo 4th Dimension, formato da Gary Husband alle tastiere; Mark Mondesir alla batteria e il bassista camerunense Etienne M'Bappé - McLaughlin esplora un jazz elettrico che è profondamente e direttamente in debito con la musica modale e di interazione lirica di Coltrane, come anche negli aspetti emotivi e spirituali delle espressioni del sassofonista.
Questo è davvero una delle migliori registrazioni di jazz-rock disponibili. La musicalità e l'energia del gruppo dovrebbe essere un modello per qualsiasi aspirante musicista professionista. Questo è un gruppo veramente eccezionale guidato da uno dei migliori chitarristi in circolazione. E sicuramente diventerà uno dei classici di tutti i tempi di questo genere.

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Ed ecco il video di The Fine Line, tratto dall'album

Nina Simone. Una vita - David Brun-Lambert

II suo vero nome era Eunice Waymon, ma nell'America segregazionista degli anni trenta per affermarsi dovette ribattezzarsi Nina (come bambina in spagnolo) Simone (come l'ammirata Simone Signoret). Avrebbe voluto entrare al conservatorio e diventare la prima concertista di musica classica nera, ma proprio il colore della sua pelle glielo impedì. Divenne quindi cantante jazz per caso. Ma, pianista prodigiosa e voce potente qual era, conobbe un successo folgorante, grazie anche alle grandi capacità sceniche.
Nella sua ben documentata biografia di Nina Simone, David Brun-Lambert si sofferma tanto sulla figura pubblica della straordinaria musicista e dell'impegnata militante politica, quanto su quella privata della donna vulnerabile, che andò incontro a delusioni e sconfitte, e conobbe la solitudine, soprattutto negli ultimi anni di vita. Attingendo tra l'altro all'autobiografia di Nina Simone e alle testimonianze di figure a lei vicine (manager, musicisti, amici intimi, avvocati, oltre ad artisti come Charles Aznavour o Toni Morrison), ma anche alle parole di persone meno celebri che l'hanno conosciuta e hanno lavorato con lei, l'autore offre un ritratto a tutto tondo del suo personaggio, al di là dei cliché.
La componente artistica e musicale riveste una grande importanza nel libro, ma non mancano anche notazioni sulla militanza politica, a fianco del Movimento per i diritti civili dei neri a partire dagli anni cinquanta e sessanta.

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