venerdì 30 aprile 2010

Keith Jarrett Standard Trio a Bergamo a luglio

Alla tourneè italiana di luglio del trio di Keith Jarrett, si è aggiunta una ulteriore data. L'artista sarà a Bergamo il 16 luglio e parteciperà alla quinta edizione della rassegna di musica contemporanea “Contaminazioni contemporanee” diretta artisticamente da Alessandro Bettonagli che pare abbia faticato per cinque anni prima di portare nella città del Donizetti il "mito" Jarrett. Che si esibirà in trio, un trio ormai consolidato con Gary Peacock e Jack De Johnette.
I tre musicisti quindi a luglio saranno in Italia per tre concerti: a Ravenna il 13, al Palazzo Mauro de Andre, il 16 a Bergamo, il 18 all'Auditorium Parco della Musica di Roma per quello che è atteso dai fan come un vero e proprio evento.

Henry Threadgill & Zooid a Firenze

Lunedì 3 Maggio 2010 alle ore 21.15 presso la Sala Vanni di Piazza Del Carmine 14 a Firenze, concerto di Henry Threadgill & Zooid.
La formazione sarà composta da Henry Threadgill sax, flauto, Jose Davila tuba, trombone, Liberty Ellman chitarra, Stomu Takeishi basso, Elliot Humberto Kavee batteria.
Henry Threadgill è una figura cruciale del jazz contemporaneo. Tra i fondatori dell'AACM di Chicago, l'associazione per lo sviluppo dei musicisti creativi, dopo gli esordi di fianco ad Anthony Braxton e Muhal Richard Abrams, Threadgill ha proseguito con una serie di gruppi, il trio Air, il Sextett, l'ensemble Very Very Circus, l'orchestra Dance Situation Society, fino al quintetto Zooid dei giorni nostri.
Compositore, sassofonista, flautista e multistrumentista, Henry Threadgill continua nel solco tracciato da grandi protagonisti del jazz quali Jelly Roll Morton, Charles Mingus, Albert Ayler. Come loro Threadgill rielabora e trasfigura le ispirazioni più diverse in un affascinante mondo sonoro, riconoscibile già alla prime battute.
I differenti progetti illustrano una musica in continuo divenire, ciò è sottolineato anche dalla ricerca di inusitati colori musicali che Threadgill ottiene grazie a particolari formazioni in cui hanno trovato e trovano spazio strumenti inconsueti come violoncelli, violini, corni, tube, insieme agli strumenti più tipici del jazz.
Nella sua musica riluce la ricchezza della tradizione afroamericana, il blues, il ragtime, il gospel, il jazz più libero ed iconoclasta, così come Threadgill incorpora nel suo lavoro stimoli di altri culture, dalla musica dell'India a quella dell'America Latina, delineando una proposta che conquista per la sua vitalità.
Non a caso a lungo Henry Threadgill è stato impegnato, oltre che come leader, anche in una riuscita serie di collaborazioni con il bassista e produttore Bill Laswell, in progetti a contatto con varie musicalità e tradizioni, dal Brasile degli Olodum alla black music di The Last Poets, ai ritmi e ai suoni dell'Africa.
Henry Threadgill è atteso a Firenze dopo un'assenza di quindici anni. Il suo concerto lo presenta in compagnia dell'ensemble Zooid con cui ha messo a punto un nuovo sistema sonoro che stimola l'improvvisazione ed un inedito equilibrio tra i musicisti.
Per informazioni: www.musicusconcentus.com

Il quartetto di Carla Bley a Casalmaggiore

Mercoledì 05 maggio 2010 alle ore 21.00 al Teatro Comunale di Casalmaggiore, concerto del quartetto di Carla Bley, composto da Carla Bley, piano, compositore, arrangiatore, Andy Sheppard, sax, Steve Swallow, basso e Billy Drummond, batteria con ospite Paolo Fresu alla tromba.
Pianista, compositrice, arrangiatrice, band leader, Carla Bley è uno dei personaggi più variegati della scena jazz: negli anni settanta, è l'indiscutibile signora dell'avanguardia, in quanto autrice dei brani più significativi di Paul Bley e, insieme a Charlie Haden, ispiratrice e guida della Liberation Music Orchestra; ancora oggi leader di una delle jazz big band più versatili e longeve. Carla Bley presenta il suo ultimo progetto con il quartetto The Lost Chords. La accompagnano due membri storici della sua big band; il compagno di vita e di avventure jazzistiche Steve Swallow al basso elettrico e Andy Sheppard ai sassofoni. Un concerto di gran classe che ci presenta un'artista che, nonostante una carriera sempre inquieta, dimostra di non conoscere crisi d'ispirazione. Ispirazione che, in una scena musicale da sempre alla disperata ricerca di novità per adeguarsi ai tempi, non teme di cercare, proprio nella musica più dimenticata del passato e apparentemente fuori moda, le strade più all'avanguardia. Al quartetto si aggiunge la prestigiosa tromba di Paolo Fresu, uno degli artisti più bravi e più eclettici del panorama jazz, e non solo, internazionale.
Per informazioni: www.teatrocasalmaggiore.it

Dee Dee Plays Billie

Uno straordinario articolo su Dee Dee Bridgewater è stato pubblicato dallo scrittore e giornalista Larry Blumenfeld, sul Wall Street Journal di qualche giorno fa e ripreso sul blog dello stesso scrittore. L'articolo si concentra sul prossimo album della cantante intitolato To Billie With Love From Dee Dee, e prova in maniera estremamente brillante a tracciare un paragone tra le due grandi interpreti.
Ms. Bridgewater has considerable experience with daring to be a Billie Holiday, much of it literal. She earned critical acclaim in Paris in 1986 and a Laurence Olivier Award nomination the following year in London for her portrayal of Holiday in Stephen Stahl's play "Lady Day." "I was possessed," she said. "I would take my first step onto the stage and could feel her take over." Ms. Bridgewater can do a dead-on impersonation of Holiday--she briefly eased in and out of Holiday's drawn-out phrasing and playful intonation over the phone for me--but that was never the point.
Holiday's story, not her singing, first captivated Ms. Bridgewater. "When I was a teenager, I believed that to be a jazz singer you had to scat and sing like Ella Fitzgerald or Betty Carter," she said, "and you needed to have range. We all know that Billie did not have an extensive vocal range."
But Ms. Bridgewater had read "Lady Sings the Blues," Holiday's 1956 autobiography, co-written with William Dufty, on which Mr. Stahl's play was based. "I was struck by a lot of things that I could relate to or had experienced, including abuse," she said. "And I began to understand how she ended up growing into the person she grew into, what her singing meant."
By the time she was cast as Holiday, Ms. Bridgewater had developed a deepened appreciation of Holiday's rhythmic and expressive gifts as a singer. And she sought something beyond the tragic storyline. She had easy access to good sources: She'd debuted in 1970 with the Thad Jones/Mel Lewis band, which included her then-husband Cecil Bridgewater, and performed throughout that decade with jazz standard-bearers including Max Roach and Sonny Rollins. Through musicians such as trumpeter Harry "Sweets" Edison, she heard firsthand recollections. She acquired cassettes documenting private moments. "I learned that Billie was a very funny woman, with a dry sense of humor," she recalled, "who loved to talk dirty and would cook for her fellow musicians."
Now, at 59, the prospect of a Broadway revival of Mr. Stahl's play prompted Ms. Bridgewater to envision a two-disc set: one evoking the play's era, the late 1950s; the other a celebratory tribute in the here-and-now. When the recession put the play on hold, she scaled down to the latter idea. The result sounds bold, varied, modern and complete. Ms. Bridgewater's performance style is often wildly extroverted, spanning a broad emotional and musical range; it is in many ways the polar opposite of Holiday's finely focused presence and introverted demeanor. On the new CD, though Ms. Bridgewater flecks a lyric or two with Holiday's timbre or phrasing, her singing is never imitative, often reflective of musical liberties Holiday never took.
"I wanted to capture Billie's spirit," she said, "as channeled through the woman and the musician I am today." She turned first to pianist Edsel Gomez, with whom she has worked for seven years, and then enlisted bassist Christian McBride, drummer Lewis Nash, and James Carter, who excels equally on a variety of reed instruments. She asked Mr. Gomez to create musical contexts for 12 songs strongly associated with Holiday, more loose-limbed musical frameworks than tight arrangements......
Sul blog dello scrittore è possibile leggere l'articolo in versione integrale.

Ecco il video di Dee Dee Bridgewater che presenta Polkadots and Moonbeams, con The Italian Big Band.


L'anniversario della nascita di Duke Ellington

Ieri diversi siti americani hanno celebrato il 111 anniversario della nascita di Duke Ellington (nato il 29 aprile 1899) con articoli sulla vita e soprattutto la musica del leggendario musicista.
Tra i tanti vorrei segnalarne due particolarmente interessanti, il primo del sito Smithsonian.com intitolato Happy Birthday to The Duke, del quale riprendiamo alcune parti più interessanti:
Duke Ellington wasn’t always The Duke.
The famous musician was born Edward Kennedy Ellington on April 29, 1899, in Washington, D.C. He would have been 111 today.
Growing up, his parents set high standards for manners and how the young Ellington should carry himself. His friends picked up on his well-groomed persona, and his casual air of elegance, that made him seem more like a nobleman than a child; more like a “Duke.”
It was a name that would foreshadow the elegance and ease with which Ellington commanded the musical world, writing or co-writing thousands of songs during his 50-year career as a bandleader. Many say the pianist, bandleader and composer elevated jazz to the same level of respect and prestige as classical music, giving the genre, which Ellington called “American music,” a permanent place in the country’s history and culture. (Jazz Appreciation Month is celebrated the same month as Ellington’s birthday.)
Today, more than 100,000 pages of unpublished music, along with thousands of other documents and artifacts, are preserved in the National Museum of American History’s Duke Ellington Collection, where musicians and composers from the world over come to try to see a glimpse of Duke’s genius.
Ellington began piano lessons at age 7, but never stuck with formal training. It wasn’t until he was 14, when he began to watch ragtime pianists perform, that he became serious about music. While working at the soda fountain of a local café, he wrote his first song. ‘Soda Fountain Rag.” He played it by ear every time he performed, since he hadn’t learned to read music.
Before he wrote hits like “Take the ‘A’ Train” or “Mood Indigo,” Ellington formed a band called “The Duke’s Serenaders,” who eventually played for embassies and high society balls around Washington. When his drummer left the band, he decided to try to make it big in New York City, the center of the jazz world.
Si può leggere il resto dell'articolo qui.

Un'altro interessante articolo è stato pubblicato sul sito di Voice of America, intitolato Legacy of Duke Ellington Remembered.
April is designated as "Jazz Appreciation Month" in the United States. It celebrates this unique American music form and honors the great American jazz musicians who revealed it to the world. One of the most influential figures in jazz is a native Washingtonian, Duke Ellington. He is also considered one of the twentieth century's best known African-American personalities, who influenced millions of people at home and around the world. April 29 marks his 111th birthday.
Many agree that Duke Ellington is Washington DC. This is where he was born, as Edward Kennedy Ellington, and where his career began. As a composer and band leader, he brought jazz to the world. During the Cold War in the 1960's and 70's, he was one of the numerous American jazz artists who traveled to Eastern Europe, the Soviet Union, the Middle East, Africa, Asia and Latin America. In 1969, president Richard Nixon presented Duke Ellington with the Medal of Freedom. In his 50 year career, Ellington also received the Pulitzer Prize and 13 Grammy awards.
Today, Mercedes Ellington, Duke Ellington's granddaughter, keeps her grandfather's legacy alive as President of the Duke Ellington Center for the Arts. "The music of Duke Ellington is of such a structure that it crosses generations and puts everybody on an even scale. Duke Ellington used to be very charming and very gracious, and he appreciated his career to such an extent that, when he was invited to play in different countries, he would compose a suite dedicated to that country. He loved to go to places where he was not supposed to go. He never labeled his
music. It was not jazz, he said it was 'American music,'" she said.
Duke Ellington tore down racial barriers, playing to both African-American and white audiences, a rarity during those racially-divided times.
"It is just proving that the commonality between people is one of the things that I think Ellington wanted to accentuate. He was always on the path of acknowledging what was really happening in the world. The ideal of people being drawn together through music was his goal. He was constantly writing, every day, even when he was ill and dying in the hospital, he had a piano at the foot of his bed," she said.
Per leggere il resto dell'articolo visita questo link.

A questo link si può vedere il video del concerto che Ellington tenne a Parigi, nella sua tourneè per il 70° compleanno.

JazzRadio un sito per ascoltare grande jazz

JazzRadio.com è uno dei siti top per ascoltare radio jazz su Internet.
Nel sito gli ascoltatori potranno scegliere tra 24 splendidi canali tematici, divisi per genere e scelti da esperti programmatori, nel quale sarà possibile ascoltare grandi selezioni musicali, con il minor numero di interruzioni possibile.
Per scegliere ed ascoltare i canali si può visitare il sito internet all'indirizzo www.jazzradio.com

Gioie e dolori nell’America degli anni Trenta

Notizia tratta dal sito de Il Giornale:
«Gioie e dolori nell’America degli anni Trenta», la mostra curata da Luigi Sansone e realizzata in collaborazione con la fondazione Antonio Mazzotta, racconta proprio questo e non è un caso che il sottotitolo lo spieghi ancora più esplicitamente: «Dall’euforia alla Grande Depressione». Ospitata a Palazzo Sormani (dal 30 aprile al 10 giugno: orari lunedì-sabato 14-19, chiuso la domenica, ingresso libero), l’esposizione ricostruisce il clima della Grande Depressione nel suo passaggio dall’età felice degli anni Venti alla rinascita della fine degli anni Trenta, e lo fa attraverso documenti e oggetti che raccontano mode, gusti, forme d’espressione e linguaggi. Manifesti, fotografie, cartoline, partiture, dischi in vinile, riviste e gioielli d’epoca, edizioni originali dei romanzi che la raccontarono in presa diretta (da Dos Passos a Caldwell, da Steinbeck a Faulkner) provengono da collezioni private, dalla Fondazione Antonio Mazzotta e dalle ricche raccolte novecentesche della biblioteca Centrale.
Particolare spazio viene dedicato alla musica, che ebbe in quel decennio tragico eppure ricco di voglia di fare e di talenti, un ruolo fondamentale nella strategia di controllo psicologico delle masse. Lo ebbe attraverso la radio e canzoni popolari come Brother, can you spare a dime, fratello, puoi risparmiare un centesimo, attraverso il musical e i film musicali, dove Fred Astaire e Ginger Rogers come ballerini e cantanti e George Gershwin come autore segnarono alcune delle pagine più belle del teatro musicale. A questo proposito la mostra prevede tre appuntamenti concertistici di grande interesse: il primo, il giorno dell’inaugurazione, avrà per protagonista proprio le musiche di Gershwin nell’interpretazione del duo formato dal soprano Karin Schmidt e dal pianista Paolo Alderighi, con in programma un florilegio di motivi scelti fra le sue pagine più famose. L’11 maggio alle 21 ci sarà il secondo, focalizzato sulla musica di Duke Ellington. A ripercorrere la sua opera di compositore sarà un quartetto jazz composto da Cesare Rotondo, Vittorio Chessa, Dario Tosi e Carlo Panzalis. Ultimo appuntamento, l’11 giugno in coincidenza con la chiusura, quando sarà lo swing a farla da padrone: musiche di Cole Porter, Iriving Berlin, Hoaggy Carmichael, saranno eseguite da Alfredo Ferrario, Fabrizio Bernasconi e Franco Finocchiaro.
Si può leggere l'articolo integrale a questo link.

In dreams: sogni e incubi del primo Novecento sulle magiche note di Fats Waller

Notizia tratta dalla sezione libri del sito della rivista Panorama:
Pubblicata quattro anni fa in tutta Europa e vincitrice di numerosi premi internazionali, esce in una nuova edizione Fats Waller (Coconino Press), la biografia a fumetti del geniale pianista americano nata da un progetto a quattro mani di Igort e Carlos Sampayo.
Quando ero a Parigi ascoltai alla radio la storia di Fats, “dicendomi che sarebbe stato un magnifico fumetto”, racconta Igort sul suo sito. “Chiamai Sampayo, che era, oltre che amico, un mio mito d’infanzia”. Dall’incontro di due menti così libere e fuori dagli schemi – caposcuola della narrazione grafica da quasi trent’anni Igort, ma anche musicista; giornalista, scrittore, sceneggiatore nonché critico musicale esperto di jazz Sampayo – nasce una biografia genuinamente alternative, montata con la tecnica cinematografica del cut up.
Una successione di scene che si intreccia alle vicende di altri personaggi dell’ambiente, musicisti donne clochard discografici amici scrocconi impresari, sullo sfondo della Storia con la maiuscola.
Certo Thomas “Fats” Waller, magistrale pianista e compositore (registrò circa 360 canzoni ma, si dice, ne compose oltre 500) aveva una faccia e fattezze che sembravano una caricatura. E del genio virtuoso ma nero, che faceva ballare la gente con le sue commedie in musica, l’America restituì all’epoca un’icona da cartoon – la faccia “cicciosa” e paciosa, la bombetta storta, la mole goffa e ingombrante, la parlantina svelta.
Igort rinuncia alla tradizione caricaturale per leggere l’anima profondamente blues del pianista. Il successo, la stima dei colleghi, la venerazione del pubblico, la fama di donnaiolo sono gli elementi di contorno. La penna del disegnatore arriva al cuore di una sensibilità troppo acuta e troppo fragile. Dagli accordi e dall’espressione ispirata di Fats sprigionava pura gioia ma dentro, dentro erano solitudine malinconia tribolazione e inquietudine. Assediato dalle donne e dai debiti, Fats era “obbligato” a comporre per vivere, a bere per sopravvivere. La fine fu tragica ma ancora giustificò una lettura da comix: morì assiderato sul vagone di un treno. Un vagone tutto per lui, musicista trentanovenne all’apice del successo: l’impianto di riscaldamento smise di funzionare ma lui era troppo sbronzo per svegliarsi.
Mentre sulle note di Fats l’America balla il New Deal roosveltiano, in Europa si prepara un’epoca buia e dannata. Igort e Sampayo insertano nella storia di Fats scene dal Vecchio Continente: la Spagna dilaniata dalla guerra civile, l’ascesa del fascio in Italia e Germania, le purghe della Russia di Stalin. Ma la musica di Waller arriva dovunque e s’infiltra perfino nel cuore del pregiudizio: può un negro…? Beh, “l’arte si trasmette per strade misteriose”.
Corredano questa nuova edizione di Fats Waller alcune outtakes o “sinfoniette di schizzi e appunti“, come le chiamano gli autori, tavole rimaste nel cassetto che testimoniano il lungo work in progress da cui è sbocciato questo frutto prezioso. Sono abbozzi, studi ma anche quadri autosufficienti. Visionari, onirici, junghiani. Bellissimo il dialogo immaginario con Monk, l’altro tormentato genio della tastiera cui di lì a poco Fats affiderà il testimone di immortale icona del jazz.

How to play bebop. Vol. 1: Le scale bebop e le altre scale di uso comune - David Baker

Un'introduzione allo stile che più di ogni altro ha influito sugli sviluppi successivi del jazz e della musica moderna. In tre volumi le nozioni e i consigli indispensabili per suonare il bebop.
Il primo presenta la grammatica: le scale, gli accordi e le loro relazioni, necessari per suonare il bebop; prospetto riassuntivo delle scale di uso comune e loro funzione; pattern per scale a toni interi e diminuite; esempi musicali ed esercizi; il secondo affronta la sintassi, con i pattern, le formule e le concatenazioni, introducendo alle successioni di accordi e ai cicli, selezionando un repertorio di brani da memorizzare. Infine, il terzo si concentra sulla letteratura e le sue forme: poiché l'apprendimento e la memorizzazione dei brani sono premessa indispensabile per suonare il bebop, Baker propone un metodo per la loro interiorizzazione. Comprese le tecniche, acquisito lo stile e assimilato il repertorio, sarà entusiasmante creare le proprie improvvisazioni e performance.
Per acquistare il libro sul sito Internet Book Shop si può visitare questo indirizzo.

Podcast - Esbjorn Svenson Trio

Esbjörn Svensson, morto il 14 giugno 2008 a 44 anni in un incidente di scuba-diving vicino Stoccolma, è stato un pianista e leader dell'innovativo Esbjörn Svensson Trio, popolarmente noto come trio EST. Fondato nei primi anni '90, il trio, composto anche dal bassista Dan Berglund e dal batterista Magnus Oström, ha proposto un genere di musica inclassificabile che ha ripreso il jazz d'avanguardia, il rock contemporaneo ed elementi di musica classica moderna in proporzioni costantemente variabili. Le sue performances dal vivo, in particolare, erano entusiasmanti, imprevedibili e molto popolari tra il pubblico giovane. La fama del trio era ancora in forte crescita, al momento della morte di Svensson.
A questo link è possibile scaricare il podcast, in formato Mp3, di un concerto del trio tenuto il 12.01.07 al Gamla Theatern in Svezia.

Ecco il video del Esbjorn Svensson Trio che presenta Seven Days Of Falling, live al Wackerhalle, Internationale Jazzwoche di Burghausen in Germania, il 2 Maggio 2004


giovedì 29 aprile 2010

Clarinetwork Live at the Village Vanguard - Anat Cohen

L'etichetta Anzic ha appena pubblicato il nuovo album della clarinettista Anat Cohen, intitolato Clarinetwork, registrato dal vivo al Village Vanguard di New York il 7 maggio 2009.
Ispirato da Benny Goodman nella celebrazione del suo centenario, Clarinetwork Live at the Village Vanguard è un tour-de-force musicale. Vincitrice di tre consecutivi della Jazz Journalists Association come “Clarinet Player of the Year” e come "Rising Star Clarinet” per il DownBeat critic’s polls, la magnifica clarinettista israeliana conduce una sezione ritmica di all-stars (Benny Green, Peter Washington, Lewis Nash) su questa squisita registrazione live che restituisce al clarinetto il suo legittimo ruolo in prima linea del jazz.
Per acquistare l'album su CdUniverse puoi visitare questo indirizzo.

Si può vedere un video di Anat Cohen, in Cry Me A River, Live al Jazz Standard


Ornette Coleman riceverà la laurea ad honorem presso l'Università del Michigan

Ornette Coleman, insieme ad altre personalità della scienza, della cultura e delle professioni, riceverà la prestigiosa laurea ad honorem presso l'Università del Michigan, insieme al Presidente Obama.
"E' un eccitante squadra di destinatari", ha detto Lisa Connolly, responsabile del project manager dell'Ufficio di Presidenza e componente del Comitato per la Laurea Honoris Causa dell'Università.
L'università dona queste onoreficienze da più di un secolo. In questo periodo più di 1.000 persone illustri hanno ricevuto lauree honoris causa tra cui George H.W. e Barbara Bush, il segretario di Stato Hillary Clinton, il regista Ken Burns, lo scrittore e sopravvissuto all'Olocausto Elie Wiesel, la leader dei diritti civili Rosa Parks ecc.

Intervista con il pianista Bill Charlap

Il sito del Detroit Free Press ha pubblicato una bella intervista con il pianista Bill Charlap, che insieme al suo trio con bassista Peter Washington ed il batterista Kenny Washington forma una delle formazioni più solide e durature della storia del jazz. La formazione è specializzata in delicati e sottili arrangiamenti di celebri standard di jazz, che riprende le influenze di musicisti quali Ahmad Jamal, Tommy Flanagan e Hank Jones.
How does it feel to play with Peter and Kenny after nearly a dozen years?
There was chemistry right away. You can't invent that. It felt like a band right away. Now it's developed to the point where the intuition is even more so. We've played in all kinds of rooms, concert halls, under all kinds of conditions, so we can adjust to anything. We've also developed in terms of repertoire. The book probably has over a hundred pieces in it -- and that's beside what we can just call on the stand.
The sense of arrangement and personality happens naturally now. There are certain musical cues, little things, intuitions, where maybe it's time to double-time or somebody picks up on a rhythmic idea that becomes part of the improvised arrangement. Sometimes you can't quite tell what's arranged and what isn't.
Does the fact that the band relies on the Great American Songbook and jazz classics rather than original material make it more challenging to develop a unique identity?
I think we're just being ourselves. It's not that there's a challenge to find an original voice; that's not something I think about at all. I just try and approach the music in a natural way, and it should come out in a personal way because it is. It's not a mystical thing.
The trio knows the history so well, however, that at any given point you can reference very specifically, say, Tommy Flanagan or a record Hank Jones made in 1957.
We don't want to do that. They already did it, and you can only do it worse if you're trying to imitate somebody else. You can't own somebody else's spirit. I don't think that Hank Jones or Teddy Wilson said, "I need to forge my own sound and here's how I'm going to do it. I'm going to cut away this and this and I'm only going to explore this." No musician thinks like that.
I can't imagine that anyone does anything but follow their own sense of organization. Any real artist develops from inside-out. Especially when you present music with a very clear concept, sometimes people infer that's all you like or all you're influenced by. That couldn't be further from the truth. A big part of what gives artists dimension is how wide their scope is. But that doesn't mean that you want to play like that or that your playing comes out reflecting something you're a fan of.
Si può trovare l'intervista integrale a questo indirizzo.

Ecco un video del trio di Bill Charlap registrato al Village Vanguard, che presenta In the Still of the Night


AccuJazz.com il futuro della radio jazz

AccuJazz è una stazione radiofonica all-Jazz progettata per mostrare lo straordinario potenziale delle radio su internet. Esso contiene più di due dozzine di canali di jazz divisi in categorie a seconda dello stile, dello strumento, del musicista, della regione e del decennio. Ogni canale è ulteriormente personalizzabile con la possibilità di deselezionare gli artisti che l'ascoltatore preferirebbe non ascoltare. Nuovi subchannel vengono aggiunti ogni settimana. La varietà di canali e la loro personalizzazione rende AccuJazz una esperienza radiofonica differente da qualunque altra.
AccuJazz deriva da AccuRadio, una webcaster tra i top-10, con oltre 300 canali e 400 mila ascoltatori unici al mese.
Ogni mese, 5 importanti nuove pubblicazioni vengono inserite nella home page AccuJazz.com e sono fortemente presenti nella programmazione AccuJazz.
Ci sono oltre 15.000 brani programmati sui canali AccuJazz, e viene sempre aggiunta nuova musica. AccuJazz Main Channel riflette le classifiche jazz più attuali.
AccuJazz è programmato da Lucas Gillan, un musicista jazz e fan accanito con sede a Chicago.
Per ascoltare i canali di Accujazz visitate il sito http://accujazz.com

mercoledì 28 aprile 2010

Dianne Reeves al Blue Note di Milano

Martedì 4 maggio alle ore 21, al Blue Note di Milano, concerto della cantante Dianne Reeves.
Dianne Reeves è un’artista al culmine di una intensa quanto lunga carriera, in cui ha spesso coniugato la sua naturale inclinazione al jazz con altri stili musicali, ed è stata insignita recentemente di due Grammy Awards, attribuiti rispettivamente a In The Moment - Live In Concert e per The Calling - Celebrating Sarah Vaughan.
La voce della Reeves è inconfondibile: il suo caratteristico timbro cangiante, talvolta avvolgente e scuro, altre volte più aspro, riesce ad emozionare senza risultare costruito, come invece lascerebbero supporre la grandi doti tecnico-vocali di cui è altresì dotata.
Per l'occasione la cantante sarà accompagnata da Peter Martin al piano, Romero Lubambo alla chitarra, Reuben Rogers al contrabbasso e Greg Hutchinson alla batteria.
Per informazioni: www.bluenotemilano.com

Hiromi a Piano Jazz

Ancora uno splendido appuntamento tratto dalla sterminata produzione multimediale di qualità della emittente Npr. L'episodio di questa settimana di Piano Jazz ha visto la partecipazione della incredibile pianista giapponese Hiromi Uehara che si è fermata per un intervista e per suonare alcuni pezzi con la sua ospite, la celebre Marian McPortland.
Nata a Shizuoka nel 1979, Hiromi prime le sue prime lezioni di pianoforte all'età di 6 anni. Da studente, ha assorbito una vasta gamma di stili musicali, e 17 anni ha avuto modo di suonare sia con la Filarmonica Ceca che con Chick Corea. Tra i suoi mentori ci sono Ahmad Jamal e il veterano bassista Richard Evans.

Per ascoltare il concerto:



Ecco un video di Hiromi che presenta una esaltante versione di I've Got Rhythm

McCoy Tyner a Jazz at Lincoln Center

Nella nuova puntata del programma radiofonico Jazz at Lincoln Center è stato trasmesso un concerto del leggendario pianista McCoy Tyner, il quale ha invitato il tenorsassofonista Ravi Coltrane, figlio di John del il quale il pianista è stato fedele collaboratore, ad unirsi al suo trio per suonare due pezzi originali di Tyner quali Fly with the Wind e Blues on the Corner, e rivisitare la straordinaria Moment's Notice uno dei pezzi di punta di Trane.
Per ascoltare questa imperdibile trasmissione potete visitare questo link.

Bob Brookmeyer a Roma

Una nuova sfida per la PMJO Parco della Musica Jazz Orchestra che questa volta incontrerà il grande direttore, compositore, trombonista, pianista Bob Brookmeyer, uno dei musicisti più eclettici con una vasta esperienza alle spalle sia nel campo della musica improvvisata che in quello della composizione. Bob Brookmeyer dirigerà la Parco della Musica Jazz Orchestra per proporre alcune perle del suo repertorio dalle sue composizioni classiche scritte per le numerose orchestre da lui dirette come la Concert Jazz Band o la Mel Lewis Orchestra, a quelle più recenti che fanno parte del repertorio della sua New Art Orchestra.
L'appuntamento è per giovedì 29/04/2010 presso la Sala Petrassi dell'Auditorium Parco della Musica di Roma alle ore 21.
Per informazioni: www.auditorium.com

Don Byron ad Ischia

Sabato 1 maggio 2010 alle ore 22:30 presso la ‘O Spasso di Calise ad Ischia, concerto del trio composto da Don Byron al clarinetto, Fabrizio Puglisi al piano e Tommaso Cappellato alla batteria.
Don Byron, di origine newyorkese, è un artista che non ha bisogno di particolari presentazioni, virtuoso improvvisatore e esploratore di suoni, nell’arco degli ultimi venti anni si è misurato in tantissime esperienze come clarinettista, sassofonista, compositore ed arrangiatore. Il suo ultimo lavoro è New Gospel Quintet, una rivisitazione personale di classici e di gioielli meno noti del genere. Don Byron ha suonato fra gli altri con Bill Frisell, David Murray, Cassandra Wilson, Steve Lacy, Steve Coleman ed Uri Caine. In questo nuovo progetto lo vediamo al fianco di due fra i più dotati musicisti italiani.
Fabrizio Puglisi, pianista eclettico e sperimentatore, si ispira alla scena più libera della musica italiana, rivelando la sua natura attenta a catturare gli stimoli più differenti. Al momento è impegnato in Teatro con lo spettacolo di Marco Travaglio”Promemoria-15 anni di storia italiana ai confini della realtà“.
Tommaso Cappellato, compositore e batterista nonchè ideatore del progetto, si e’ distinto nel corso della sua attivita’ musicale come fautore di numerose e variopinte situazioni musicali. La sua curiosita’ stilistica e continua volonta’ di ricerca lo hanno portato a viaggiare in varie parti del mondo per apprendere e collaborare con molti artisti di diverse influenze e tradizioni. Il trio proporrà un concerto fatto di composizioni originali che portano la firma di tutti e tre.
Da non perdere anche il prossimo concerto della rassegna promossa dall’Associazione Ischia Jazz, il 15 maggio ci sarà l’eccezionale esibizione Piano solo di Enrico Pieranunzi allo ‘O Spasso di Calise.
Per info e prenotazioni: www.associazioneischiajazz.it

Intervista a Dave Brubeck

Sul sito del Connecticut Post c'è una lunga ed interessante intervista con il grandioso Dave Brubeck, che all'età di 89 anni, continua a girare per il mondo e a suonare come un ragazzino e sul quale l'altro grande "vecchio" del cinema Clint Eastvood sta preparando un documentario che dovrebbe uscire il prossimo anno per festeggiare i 90 anni.
Dave Brubeck is a master at multi-tasking.
Just take a look at his exercise room, where you'll find an electric keyboard mounted on his treadmill.
"I'm so busy, I'm just trying to keep up with the mail," Brubeck joked during an interview from his Wilton home last week. "The only way I (have the time to) practice and exercise is to have an electric piano at shoulder level. Otherwise, I wouldn't get any exercise."
Indeed, the act of multi-tasking is a necessity for the jazz legend who, at the age of 89, is still touring and composing.
Despite his busy schedule, Brubeck was gracious enough to make time for an interview regarding his upcoming performance with The Dave Brubeck Quartet at the Palace Theater. He also will be honored with the Stamford Center for the Arts' first-ever Arts Legacy Award for his contributions to music education.
FIVE QUESTIONS FOR DAVE BRUBECK
You have received many awards, but the Stamford Center for the Arts Legacy Award is one of the few given by a local arts institution. What does this award mean to you?
It's important to me to receive this award. I'm always going to Washington, D.C. A lot of times I'll be in Europe. To have it at home is really nice.
Speaking of Europe, what was it like travelling there as part of President Dwight Eisenhower's cultural exchange program during the 1950s? What kind of impact do you think it had?
Eisenhower asked us to go on a program called People to People. We were sent to the periphery of the Soviet Union to counteract what they were doing. The president said a way to fight back was to send our people and see what happens -- and look what happened! The voice of America changed how the world looked at us.....
In all your times traveling abroad, what was your favorite experience?
Being asked to go to Russia for the summit meeting of Gorbachev and Reagan. I was raised on a cattle ranch and worked as a cowboy for years. Who would have thought I'd be going to Russia with the president? I've been so fortunate....
Per leggere il resto dell'intervista clicca qui

Possiamo ammirare il video delle meravigliose Take Five e Blue Rondo a la Turk, presentate lo scorso 6 dicembre 2009, al Kennedy Center di Washington, durante le celebrazioni per il conferimento del Kennedy Center Honoree a Brubeck, alla presenza del Presidente Obama, dal All Star Quintet con Bill Charlap al piano, Christian McBride al basso, Jon Faddis alla tromba, Miguel Zenon al sassofono ed il batterista Bill Stewart


martedì 27 aprile 2010

Night Lights - Jazz Impressions of Paris

Questa settimana la bellissima trasmissione radiofonica Night Lights, condotta da David Brent Johnson sull'emittente Indiana Public Radio, si concentra sulle interpretazioni jazz di molte canzoni che sono state scritte sulla Città della Luce.
Jazz Impressions of Paris presenta musica di Bud Powell (The Last Time I Saw Paris), Clifford Brown (Parisian Thoroughfare), Duke Ellington (la title theme dal film Paris Blues), Charlie Parker (I Love Paris di Cole Porter, tratta dall'ultima session in uno studio di registrazione di Parker), ed altri, tra cui due pezzi strumentali, le odi agli Champs Elysées di Miles Davis e del pianista Mal Waldron.
Per ascoltare questo programma visitare questo link.

EyeShotJazz

Vorrei segnalare un bel sito fotografico di jazz, dal titolo EyeShotJazz.
Questo blog presenta le fotografie di Daniel Sheehan, un fotografo di Seattle specializzato in fotografia jazz. Sheehan fotografa regolarmente musicisti jazz durante i concerti su incarico del Earshot Jazz Magazine. Dal 2008, durante l'annuale Festival del Jazz Earshot, ha iniziato a pubblicare sul blog almeno una foto di ogni spettacolo a cui presenzia.
A questo link si può vedere un esempio delle splendide fotografie di Sheehan, con un ritratto del trombettista Tomas Stanko

Jimmy Woode Award 2010

Il 20 di maggio scade il termine ultimo per la presentazione dei progetti musicali al Jimmy Woode Award 2010. Il premio anche quest’anno si terrà a Soriano nel Cimino durante il Tuscia in Jazz Festival.
Giunto alla quinta edizione, il premio nasce nel 2005 per volere della figlia del contrabbassista Shawnn Monteiro ed il direttore del festival Italo Leali. Nel 2006 la prima edizione a Ronciglione Jazz. Da allora il premio ha sfornato tra i migliori talenti del jazz europeo. Dai tedeschi Fummq, al batterista serbo Vladimir Kostadinovich, ai pianisti Andrea Rea, Francesco Marziani e Domenico Sanna, cantanti come la Jessica Brando vincitrice del premio miglior voce a soli 12 anni e quest’anno la più giovane partecipante di San Remo a 15. Batteristi come Elio Coppola, Enrico Morello e Matteo Cidale, Trombettisti come Mirco Rubegni e Francesco Fratini, Sassofonisti come Grace Kelly, Godwin Louis e Magnus Mehl, Contrabbassisti come Marco Bardoscia, Daniele Sorrentino, Fedor Rusuk e Daniele Basirico. Nell’ultima edizione lo straordinario Leonardo Corradi hammondista appena diciottenne che sta facendo parlare di lui in Italia.
Il segreto sta nella giuria del premio. Interamente composto da musicisti ha visto tra le sue fila: Kenny Barron, Benny Golson, Bobby Durham, Jimmy Coob, Joey De Francesco, Buster Williams, Mulgrew Miller solo per citarne alcuni.
Nell’edizione del 2010 la giuria sarà composta oltre che dal direttore del Tuscia in Jazz Italo Leali da: Kurt Rosenwinkel, Antonio Sanchez, Eddie Gomez, Tony Monaco, Flavio Boltro, Rick Margitza, Dado Moroni, Antonio Ciacca, Giorgio Rosciglione, Gegè Munari, Lucio Ferrara, Michel Rosciglione e presieduta da Shawnn Monteiro.
Il premio è anche un serbatoio da cui l’etichetta Tuscia in Jazz Live pesca i musicisti per le sue registrazioni. In questi anni infatti alcuni di loro sono stati protagonisti delle incisioni della label affianco a grandi nomi del panorama internazionale.
Quando con Shawnn – dichiara Italo Leali – abbiamo deciso di creare il premio, oltre al volere tenere vivo il ricordo di uno dei più grandi bassisti della storia del jazz, era nostro scopo creare un appuntamento, per mettere in risalto gli incredibili giovani talenti che circolano nel mondo musicale. Per ottenere un tale risultato abbiamo deciso che il premio fosse dedicato agli under 30 e che la giuria fosse composta solo da musicisti. Crediamo che nessuno più di loro e meglio di loro possa valutare l’operato di questi giovani. Speso si è assistito a giurie composte da etichette, critici ed agenti e qualche musicista a fare da corollario e basta. Assistere alla bocciatura di grandi talenti, che poi sono esplosi all’estero, a favore di logiche che poco centrano con la musica sono fenomeni cui tutti purtroppo assistiamo. Nel nostro piccolo vogliamo lanciare un nuovo messaggio, quello che sia la musica a giudicare la musica. Il Jimmy Woode Award nasce con questa idea e questo fine. I risultati ottenuti e i giovani usciti da questo premio sono la prova che la strada è quella giusta.”
Tra tutti coloro che faranno pervenire nei tempi la loro iscrizione, saranno selezionati i quattordici semifinalisti dell’edizione 2010. Due gruppi a sera, il cui nome verrà inserito sul prestigioso cartellone del festival, dal 18 al 24 luglio si contenderanno con uno scontro diretto l’accesso alla finale del primo agosto. Tra le sette band eliminate la giuria ne ripescherà una.
Per scaricare il bando clicca qui.
Per informazioni: www.tusciainjazz.it

Podcast - Tributo a Steve Reid

Sul sito del noto Dj inglese Gilles Peterson, noto conduttore radiofonico di un seguitissimo programma radiofonico della BBC Radio 1, intitolato Worldwide, è stato pubblicato un podcast del gruppo dei Four Tet, dedicato alla musica ed alla vita del grande batterista Steve Reid, recentemente scomparso.
Per scaricare il podcast in formato Mp3 clicca qui.

Jazz Oddity a Roma

Nello spazio sociale autogestito Sans Papiers, dove aggregazioni socio-culturali si fondono con le magie armoniche del jazz di autore va in scena Jazz Oddity, formazione tra le migliori del panorama jazz italiano, con Federica Zammarchi voce, Enrico Zanisi al Piano, Fabrizio Montemarano al contrabbasso ed Emiliano Caroselli alla batteria. La formazione nasce dalla intensa passione per la musica Afro-americana unita al fascino dell’opera artistica del cantante-polistrumentista britannico David Robert Jones, in arte David Bowie.
Jazz Oddity è un progetto di rielaborazione in chiave Jazz di alcuni brani di David Bowie, il Duca Bianco, dai notissimi Life on Mars? e Space Oddity (da cui il nome del progetto) ad altri molto meno conosciuti. L'idea nasce qualche tempo fa, dopo che la band leader Zammarchi realizzò che la sua vena musicale, seppur legata a filo doppio al Jazz e dintorni, non deriva soltanto da quello, ma dagli ascolti di tutta una vita nell'ambito del rock e della progressive music. David Bowie è sempre stato uno dei suoi grandi "amori" e la complessità di alcuni brani non ha molto da invidiare ai classici del jazz di ogni epoca. Partendo da questo presupposto ha lavorato sull'elaborazione delle strutture e dell'armonia, per rendere i brani eseguibili da una formazione di quartetto che prevede parti improvvisate intrise di illuminazioni ritmiche, folgoranti giochi armonici e dinamicamente "variabili" come si usa nel genere. Geniali i fraseggi asimmetrici, fluttuanti, liberi da convenzioni, dei musicisti che faranno da sublime collante ritmico ad una dei talenti jazz della voce italiana, Federica Zammarchi.
Il progetto nasce dalla cerebrale coalescenza tra una rigorosa riproposizione stilistica tradizionale e la ricerca, priva di vincoli e in continuo turbinio semantico. A tutto ciò si aggiunge l'incredibile energia e il forte coinvolgimento emotivo che la band riesce ad infondere in chiunque la ascolti o abbia il privilegio di assistere ad una loro performance dal vivo.
Mercoledì 28 Aprile 2010 ore 22 00 Csoa “Sans Papiers”, Via Carlo Felice 69/b - Roma

Franco D'Andrea New Quartet a Mira (VE)

Franco D'Andrea, da oltre quarant'anni protagonista assoluto del jazz italiano, sarà per la prima volta ospite della rassegna "JAM" venerdì 30 aprile, con un atteso concerto in quartetto al Teatro di Villa dei Leoni. Il pianista, nato nel 1941 a Merano ma milanese d'adozione, ha alle spalle numerosissime incisioni in qualità di leader, alcune delle quali ritenute dalla critica pietre miliari del jazz europeo. D'Andrea, pur essendo uno specialista del piano-solo, ha nel quartetto la formazione forse prediletta. Anzi, si potrebbe dire, senza timore di essere smentiti, che quello di Franco D'Andrea è, da trent'anni a questa parte, il quartetto più importante del jazz italiano.
Chi vorrà ammirarne l'ultima formazione, non dovrà quindi farsi sfuggire il concerto di Mira del 30 aprile, che costituisce anche l'evento clou del calendario di "JAM 2010".
Per l'occasione il pianista sarà accompagnato da Andrea Ayassot (sax contralto e soprano), Aldo Mella (contrabbasso), Zeno De Rossi (batteria)
Franco D'Andrea rappresenta davvero un pezzo importante di storia del jazz italiano. Nato a Merano ma cresciuto a Milano, trova la sua piena maturazione artistica frequentando alla fine degli anni '60 la scena jazzistica romana, in quegli anni molto viva. Forma il suo primo gruppo nel 1969, il Modern Art Trio, formazione per quegli anni rivoluzionaria, che lo vede affiancato a Bruno Tommaso, contrabbasso, e Franco Tonani, batteria. Accompagna in quel periodo anche il sassofonista argentino Gato Barbieri. Ma il grande successo arriva con il gruppo Perigeo, il più importante gruppo di jazz-rock italiano, che lo vede sperimentare suoni elettrici e ritmi funky di derivazione davisiana a fianco di Claudio Fasoli, Giovanni Tommaso e Bruno Biriaco. Al quartetto si aggiunge poi il chitarrista Tony Sidney. Il gruppo, che s'ispira anche ai Weather Report, si scioglie nel 1977, all'apice del successo. Da allora in avanti D'Andrea suonerà esclusivamente il pianoforte acustico ed abbandonerà qualsiasi sperimentazione elettronica.
Gli anni '80 sono gli anni della consacrazione del pianista meranese come uno dei protagonisti assoluti della scena jazzistica italiana. Fioccano da allora le incisioni come leader, alla testa di proprie formazioni od in piano-solo. Proprio nel 1981 fonda il suo primo importante quartetto, che segna profondamente il suo percorso artistico durante tutto il decennio. Sono al suo fianco i giovani Tino Tracanna, sassofoni, Attilio Zanchi, contrabbasso, ed il veterano batterista Gianni Cazzola. Franco D'Andrea nel 1989 viene quindi invitato a partecipare ad un quartetto "stellare", completato da Enrico Rava, Miroslav Vitous e Daniel Humair. Ma "Quatre", questo il nome del supergruppo, resta in vita soltanto fino al 1991.
D'Andrea è uno dei jazzisti italiani più quotati all'estero. Sono numerosi i suoi incontri con maestri del jazz d'oltreoceano, spesso in duo, primi fra tutti quelli con Lee Konitz e Phil Woods. Durante gli anni '90 il pianista sperimenta diverse formazioni, ancora il solo, il duo, il trio, ma anche un largo ensemble, studia e reinterpreta Ellington. Alla fine degli anni '90 Franco D'Andrea organizza una nuova formazione stabile, il "New Quartet", in compagnia di Andrea Ayassot, sassofoni, Aldo Mella, contrabbasso, e Zeno De Rossi, batteria. Dal 1997 ad oggi il gruppo ha inciso cinque album. Gli ultimi due, forse i più importanti, sono "The Siena Concert", (2008, Blue Note), e "Half the fun" (2009, El Gallo Rojo). Significativa, per un musicista settantenne, che ha ottenuto decine di premi e riconoscimenti importanti, non solo in Italia, è la scelta di far pubblicare il suo ultimo disco da una delle più dinamiche ed attive etichette indipendenti del jazz italiano, la veneta El Gallo Rojo, diretta dal contrabbassista Danilo Gallo.

Lionel Loueke: Tiny Desk Concert

Sul sito della Npr, all'interno della serie Tiny Desk Concert è possibile guardare un breve concerto del chitarrista africano Lionel Loueke.
Per l'occasione il chitarrista ha presentato due pezzi, Vi Ma Yon tratto dal suo ultimo album Mwaliko, e Merci, accompagnato dal batterista e percussionista Ferenc Nemeth.
Per guardare il video concerto bisogna visitare questo indirizzo.
E' possibile anche scaricare il video del concerto in formato Mp4 cliccando questo link.

Sonny Rollins nominato membro dell'American Academy of Arts and Sciences

Il sassofonista Sonny Rollins è stato eletto membro dell'Accademia Americana delle Arti e delle Scienze. La prestigiosa società, che quest'anno festeggia i 230 anni di vita, ha nominato nella sua storia 229 leaders nei settori delle scienze, scienze sociali, umanistiche, arti, economia e affari pubblici. Rollins e gli altri saranno nominati in una cerimonia il prossimo 9 ottobre presso la sede dell'Accademia a Cambridge, Mass.
Tra gli altri eletti quest'anno ci sono Francis Ford Coppola, Denzel Washington e il fondatore e direttore artistico della Metropolitan Opera, Thomas Hampson.

lunedì 26 aprile 2010

Christian McBride: Dritto al cuore

Una eccellente intervista al bassista Christian McBride è apparsa nella versione italiana dl sito All About Jazz.
McBride parla del suo ultimo progetto, con la nuova formazione gli Inside Straight: con Carl Allen alla batteria, Eric Reed al piano, Steve Wilson al sax e Warren Wolf Jr. alla batteria, dal titolo Kind of Brown
All About Jazz: Ho sentito qualche aneddoto riguardo alla scelta del nome della band, Inside Straight. Come lo hai scelto?
Christian McBride: [Ride] Ok... Una sera di due anni fa ero al Village Vanguard e mi son reso conto che erano 10 anni che non ci suonavo! E ogni jazzista che si rispetti dovrebbe suonare al Village Vanguard. Così chiesi a Lorraine Gordon, la proprietaria del club, se per lei andasse bene, e mi disse, "Certo che mi va, mi piacerebbe davvero che ti esibissi qui di nuovo, però sai che tipo di musica facciamo. La band con la quale suoni di solito [la Christian McBride Band] non va bene, non è la band per il Village Vanguard." Le dissi "Lo so, lo so, metterò insieme una band solo per questa esibizione." Così chiamai Steve Wilson, Warren Wolf, Eric Reed e Carl Allen e ci esibimmo, e fu una settimana così riuscita, dal punto di vista musicale, commerciale ed economico, che eravamo tutti al settimo cielo.
Tutti erano contenti, Lorraine era contenta e facemmo il tutto esaurito per sei sere di fila... A quel punto era chiaro, quella band doveva andare avanti, ogni membro voleva continuare a suonare con gli altri, gli spettatori ci chiedevano di andare avanti, e più di una casa discografica era interessata, addirittura ci dissero "guarda, sia che tu firmi con noi o no, tieni insieme questa band." Era una cosa più grande di noi. Non pensavo di riuscire a tener unita la band, perché ognuno aveva i suoi progetti, specialmente Eric Reed, Carl Allen e Steve Wilson.
Così passò quasi un anno prima che riuscissimo a suonare di nuovo insieme, ma alla fine riuscimmo a combinare alcune date, in occasione del Monterey Jazz Festival, subito prima di entrare in studio a registrare Kind of Brown. Lì a Monterey eravamo in cartellone come il Christian McBride Quintet. Ora, ogni band da cinque elementi è sempre chiamata quintetto: scontato, e abbastanza banale. È curioso per un musicista Jazz essere così creativo nel comporre e tanto banale nello scegliere il nome della band! Il quintetto di tizio qui, il trio di caio là... che noia. Che nome scegliere, quindi?
Eravamo seduti a pensare al nome della band, quando il mio manager ed io ci siamo guardati e lui mi ha detto "senti, facciamo scegliere al pubblico il nome della band." Così dal palco del Monterrey Jazz Festival chiedemmo al pubblico di scegliere il nome. Avrebbero dovuto mandare la loro proposta al mio sito web e la sera successiva avremmo annunciato il vincitore. Alla fine arrivarono quasi 3500 proposte in 24 ore! Ed erano troppe da esaminare in 24 ore. Avrei avuto bisogno di un sacco di gente per vagliarle tutte! Così ci volle circa una settimana per vederle tutte, ma finalmente decidemmo per Inside Straight. Fu una coppia a proporre quel nome, Debra e Doug Moody.
E come mai avete scelto questo nome?
Era intrigante. Inside Straight. Ha quel non so che di audace, essendo un termine del poker. E descrive la band dal punto di vista musicale. Essere dentro lo stile straight ahead con un quintetto completamente acustico, così differente dalle band con le quali ho suonato per così tanti anni. Penso sia per questo che piace così tanto al pubblico. Tutti mi prendevano in giro; erano tutti così ansiosi di sentirmi suonare di nuovo jazz acustico straight ahead. Così mi sono detto "Un momento, la mia band non era mica una Rock band!"
Vero, ma la gente vuole ascoltare il vero straight ahead, quindi il nome Inside Straight era proprio azzeccato.
Come mai c'è voluto così tanto per suonare di nuovo al Village Vanguard? Solo per il tipo di musica che suonavi con la Christian McBride Band, o c'è dell'altro?
Solo per quel motivo. Ma la cosa buffa è che non ho suonato proprio con nessuno al Vanguard in quei 10 anni: in quel lasso di tempo mi sono esibito con Benny Green, con Joshua Redman e con molte altre band che avrebbero potuto suonare al Village Vanguard, ma che semplicemente non l'hanno fatto. Non so perché. Ma penso che il motivo principale sia, come hai detto tu, il tipo di musica che suonavo con la Christian McBride Band. Ma ora è tutto sistemato, dato che la nostra banda è nata al Vanguard.
C'è un club, magari non il migliore di tutti, ma uno dove tu ti sei trovato meglio che in qualunque altro, più a tuo agio? Non so, magari per la sintonia con il pubblico, o per il club in sé, magari per qualcosa legato alla storia del club...
Sì, ci sono un paio di club che penso siano davvero giusti. A Detroit c'è un posto chiamato Baker's Keyboard Lounge che è un club molto antico. Credo sia il terzo o il quarto club più antico del Paese. Aprì negli anni Trenta o Quaranta ed è veramente un gran club. Non lo hanno rimodernato granché nel corso degli anni, perciò conserva la sua atmosfera originaria, e chi lo frequenta è gente della vecchia scuola, veri appassionati di Jazz. Che ne conoscono la storia. Si trova in un quartiere abitato in prevalenza da persone di colore, ed è frequentato da un sacco di gente. Ed è uno dei posti dove più mi piace suonare, il Baker's.
Jazz at the Bistro a St. Louis è un altro dei miei preferiti. Mi piace il pubblico che reagisce alla musica, che partecipa, che urla e strepita. La maggior parte dei Jazz club non sono veri Jazz club, sono ristoranti dove si suona anche il Jazz, capisci? La musica è messa in secondo piano, è un accompagnamento alle portate, ed è davvero difficile trovare quel feeling in posti del genere, dove la gente va per mangiare, non necessariamente per ascoltare musica. Il Jazz at the Bistro invece è uno di quei posti dove la gente va prima di tutto per ascoltare la musica. Non lasciano che il cibo li distolga da quel che accade sul palco. Un altro che mi piace è il Yoshi's a Oakland, riesci sempre ad instaurare un bel rapporto con il pubblico, e questo è vero in molti posti nella Bay Area.
Ci sono poi molti locali validi qui a New York: Village Vanguard, Iridium, Dizzy's, Birdland, The Jazz Standard... sono tutti dei gran bei posti! Non c'è dubbio, qui a New York il pubblico è sempre fantastico!.......
Per leggere l'intervista integrale clicca qui.

Concerti della settimana

Lunedi 26/04/2010
ore 21,05
DAVE HOLLAND "OVERTONE QUARTET" Jazzfest Berlin, 6. November 2009 (link)

ore 22,45
AARON PARKS TRIO Cully Jazz Festival 9 avril 2010 (link)

ore 23,15
DJANGO BATES "Beloved Bird Trio" at The Vortex, London on April 13, 2010 (link)

Martedì 27/04/2010
ore 20,30
LAWRENCE "BUTCH" MORRIS "Folding Space: Modette & Other Songs" registrato a Modena, Teatro Comunale Luciano Pavarotti, il 31 maggio 2009
LAWRENCE "BUTCH" MORRIS "New Music Observatory" registrato a S.Anna Arresi il 3 settembre 2009 (link)

ore 23,00
TONY SCOTT ORKEST (link)

Mercoledì 28/04/2010
ore 12,30
TORBEN WALDORFF / DONNY MCCASLIN QUINTET Jazz Baltica Salzau 5/7/09 (link)

ore 21,00
FRANK ROSOLINO, CONTE CANDOLI & TONY SCOTT - Rome - 1973 (link)

Giovedì 29/04/2010
ore 22,02
CLAUDIA QUINTET Noordduitse Kiel. 4 juli 2009 (link)

Sabato 01/05/2010
ore 0,00
STEVE COLEMAN & FIVE ELEMENTS Nevers, Francia - 11 novembre 2009 (link)

ore 23,00
FRANCESCO BEARZATTI QUARTET Enregistré le 20 mars 2010 au studio Charles Trenet de la Maison de la Radio
TORBEN WALDORFF QUINTET Enregistré le 5 juillet 2009 à Salzau (Allemagne) (link)

Domenica 02/05/2010
LUKAS THOENI'S AMYGDALIA
PHILIP CATHERINE - ENRICO PIERANUNZI 4TET (link)

sabato 24 aprile 2010

E' morto lo scrittore e critico jazz Gene Lees

Lo scrittore, critico, biografo e paroliere canadese Gene Lees è morto lo scorso 22 aprile nella sua casa in California.
Dopo aver lavorato come giornalista all'inizio della sua carriera, Lees iniziò a scrivere testi delle canzoni nel 1960 e divenne famosa la sue collaborazione con il compositore brasiliano Antonio Carlos Jobim. Suoi furono i testi della versione inglese di Corcovado (nota come Quiet Nights of Quiet Stars) registrata poi da Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Diana Krall e decine di altri cantanti.
Ebbe anche una stretta collaborazione con il pianista Bill Evans e compose i testi di uno dei brani più noti di Evans, Waltz for Debby.
Gran parte degli scritti di Lees nacquero dalla sua stretta amicizia con alcune grandi figure musicali, tra cui il trombettista Dizzy Gillespie, la cantante Peggy Lee ed il compositore Johnny Mercer.
Ha scritto magnifiche biografie di Woody Herman, di Mercer e del duo di compositori Lerner e Loewe ed è stato co-autore dell'autobiografia di Henry Mancini. Al momento della sua morte, Lees aveva quasi completato una biografia di Artie Shaw.
Lees ha anche scritto una biografia del pianista Oscar Peterson. Dopo aver fatto notizia nel 1950, con un articolo dettagliato su come un barbiere bianco avesse rifiutato di tagliare i capelli a Peterson, successivamente scrisse spesso di questioni razziali. Il suo libro del 2001, You Can't Steal a Gift, cercava di raccontare le mortificazioni razziali subite da musicisti neri quali Nat King Cole, Dizzy Gillespie, Milt Hinton e Clark Terry.
Dal 1981, Lees pubblicava una sua Jazzletter, una raccolta mensile di saggi che era una specie di blog antelitteram. Questi scritti sono presto diventati un punto di riferimento per musicisti e critici, spesso lo scrittore ha riportato questi scritti nei suoi libri.

The magic and mystery of Miles

Il Montreal Museum of Fine Arts offre in esclusiva per il Nord America una mostra multimediale dedicata a Miles Davis, denominata We Want Miles: Miles Davis vs. Jazz.
Per l'occasione il sito del Montreal Gazette pubblica uno straordinario articolo, dedicato alla vita ed alla musica di Davis, oltre che presentare questa fantastica mostra.
According to Miles Davis in his scabrous autobiography, when the trumpeter was invited to a White House dinner in 1987, an older woman asked him what he'd done to merit being there. Davis shot back, "Well, I've changed music five or six times." Drum roll, please ...
Davis was hailed as "The Picasso of Jazz," a sobriquet that Nathalie Bondil, director of the Montreal Museum of Fine Arts, appropriated to explain the multimedia exhibition We Want Miles: Miles Davis vs. Jazz, opening on Friday. Like Picasso's, his career was marked by distinct stylistic periods: bebop, cool, hard-bop, orchestral jazz, modal music, jazz-rock, funk and techno-funk.
Famously dubbed the Prince of Darkness, as artist and man, Davis created music worthy of the overused word hypnotic. Nearly 20 years after his death, he continues to put a spell on us.
We Want Miles, exclusive to Montreal in North America, is divided into eight themes, with different gallery spaces reflecting the periods of his career through over 350 items associated with Davis, many of them previously unseen by the general public - photos, films, album covers and artwork (including paintings by Miles), personal effects, instruments, assorted ephemera. And lots of music. The exhibition - assembled by Vincent Bessières, a former editor at Jazzman magazine of Paris, with input from the Montreal International Jazz Festival - was a roaring success during its run at Cité de la Musique in Paris last winter.
If Davis was inspired by some of the greatest 20th-century musicians, from Charlie Parker to Billie Holiday to James Brown, he took pains to be his own man. His music from the mid-1940s to the mid-1970s remains evergreen, much of it visionary. So much so that when he faltered in the 1980s, the last full decade of his tumultuous life, he continued to fascinate.
Bessières has claimed that "over and above jazz and even music, Davis's appetite for renewal remains an example for artists in every other field. ... He continues to elude and provoke debate between those fascinated with his ability to transform himself and those who see him as a musical opportunist." (Actually, both camps are right.) Bessières says Davis renewed himself about every five years. "This is not a lot of time; five years can go by very quickly, and each change involved enormous risk. Before embarking on this exhibition, I had definitely not gauged the speed at which Davis's art changed. Now I admire him all the more."
Charisma was his calling card. True, charisma was also the providence of Louis Armstrong, Duke Ellington, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Charles Mingus, Chet Baker and Keith Jarrett. But no one was as enigmatic as Miles. His interviews were often outrageously arrogant, contentious, infuriating, yet just as often perceptive, generous, witty, wise. He was the purveyor of rope-a-dope before Muhammad Ali, the oblique put-on before Andy Warhol.
Above all, he was almost always controversial.
Early on, critics claimed he didn't have the technical chops of, say, Dizzy Gillespie - Miles was the first to admit it - but his cool style cast the longest shadow on trumpet players, and all jazz musicians, to follow; there's no escaping him. He had a tone that was purely his, whether open-horned clarion calls or nuance-filled murmurs on his Harmon mute. His sound was sparse, lean, lyric, timeless; he suggested rather than emphasized.
Yet Kind of Blue, which remains the album that has turned on more people to jazz than any other, initially garnered a lukewarm response. As the most romantic piece of jazz music (soundtrack for countless seductions), and a revolutionary "modal" concept album analyzed endlessly by theorists, it became the perennial bestseller in jazz history.
Born in 1926, the son of a prosperous middle-class family - his father was a prominent dentist in East St. Louis - he seemed imbued with a sense of entitlement. (Free jazz pioneer Ornette Coleman, a rival for fame whom Davis dissed in 1959, claimed Davis was a black man who lived like a white.) He was always the fanciest dresser, on the cutting-edge of style, whether in sharply cut Italian suits or extravagant psychedelic-funk finery (tight bell-bottoms and flowing scarves). He was the most photogenic of jazz artists - and he knew it; looking in the mirror one night before a gig early in his career, he said he felt so "clean" that he forgot to take his trumpet. In this respect, the exhibition's photos double as a history of fashion; his hairstyles went from slick conk to neat natural to full-blown Afro to permed curls.
He infuriated critics by often playing with his back turned to audiences, rarely acknowledging them, sometimes leaving the stage when his musicians took solos.
His pride of race was a precursor to Black Power, and he was hassled by police for enjoying the perks (luxury cars, glamorous women) normally reserved for white stars. (A collage of newspaper headlines after he was beaten by New York City cops, while smoking a cigarette outside a club between sets in 1959, is a chilling reminder.) Yet he welcomed whites he deemed worthy, catching flack from blacks in 1958 for hiring pianist Bill Evans. His association with Canadian-born arranger Gil Evans was one of the most fertile collaborations in jazz history.
He had a great ear for talent. Among the musicians he hired who became stars, largely due to their exposure in his bands, are (in rough chronology) Gerry Mulligan, Lee Konitz, John Coltrane, Bill Evans, Wayne Shorter, Herbie Hancock, Tony Williams, Ron Carter, Joe Zawinul, Chick Corea, John McLaughlin, Keith Jarrett, Jack de Johnette, Dave Holland, David Liebman, Kenny Garrett and Marcus Miller. He often communicated with musicians wordlessly, often with just a nod, a point of his finger.
British bassist Holland, an unknown when Miles hired him in 1968 for his excursion into jazz-rock, told Davis biographer Ian Carr: "It was almost like a haiku thing - or a Zen thing where the master says a couple of words and the student gets enlightened." The advice included, "Don't play what's there. Play what's not there ... Don't play what you go for. Play the next thing."
For many, like myself, Davis's rock excursions represented an avenue into jazz history. André Menard, co-founder of the Montreal festival, recalled this week: "In college we heard Bitches Brew the way we heard a rock record, and that triggered our interest in jazz as a whole."
While he had desultory results reaching the black masses, Davis was the principal inspiration behind the cerebral coming-of-age of European jazz.
Photos of Davis flirting with Juliette Greco and Jeanne Moreau recall his riveting effect on post-war French jazz lovers. Boris Vian, renaissance man of the Left Bank, offered readers a nonpareil description of young Davis's approach upon his 1949 Paris debut: "The first thing that strikes you about Miles Davis is that he's really beautiful to look at. ... His articulation is absolutely flabbergasting. The spaces which suddenly appear in the middle of sinuous lines serve to relax (physically) and excite (intellectually) at the same time." His sound was "nude, vulnerable, almost no vibrato, totally calm ... a monk's sound - somebody who is part of this century but who can look at it with serenity.".....
Per leggere il resto dell'articolo visita questo indirizzo.

Dexter Gordon inserito nella Libreria del Congresso

La Library of Congress ha acquisito una collezione di oggetti della collezione privata del leggendario Dexter Gordon, resi disponibili dalla vedova del sassofonista Maxine Gordon. La collezione comprende una vasta gamma di oggetti presi da tutte le fasi della carriera di Gordon, dai primi giorni a Los Angeles fino alla sua morte nel 1990, e consistono principalmente in registrazioni sonore, interviste, documentazioni fotografiche.
"Era volontà di Dexter, avere la sua collezione inserita nella Library" ha detto Maxine Gordon. "Noi vogliamo che la gente sappia quello che la Library sta facendo per il jazz."
Tra le inestimabili documentazioni sonore presenti, si segnalano molte originali produzioni a 78 giri. "Con l'acquisizione della Collezione di Dexter Gordon, la Library si è assicurata le registrazioni di uno dei più grandi sassofonisti jazz", ha detto Eugene Deanna, responsabile della Recorded Sound Section della Library. "La maggior parte di queste grandi registrazioni esistono solo su formati obsoleti, quindi il nostro compito sarà quello di catalogare e conservare digitalmente i dischi archiviati presso il Packard Campus for Audio Visual Conservation, rendendole accessibili agli ascoltatori nella nostra sala lettura della Capitol Hill per conservarli per i posteri."
Nella collezione sono presenti anche memorabilia del film interpretato da Dexter Gordon, Round Midnight di Bertrand Tavernier del 1987. Nella presentazione Maxine ha rivelato diversi aneddoti sul film che lo rese celebre soprattutto in Europa, costringendolo a girare con la scorta. Sembra che durante una tourneè in Italia Dexter avesse detto a Maxine ""Questa è la prima volta dei poliziotti sono stati di fronte a me con le loro luci accese!"

Ecco un video tratto dal film, nel quale Gordon presenta una indimenticabile versione di As Time Goes By:


Alex Sipiagin a Trieste

Lunedì 26 aprile 2010 alle ore 20.45 presso il Knulp, ultimo appuntamento della stagione 2009/2010 proposta dal Circolo del Jazz Thelonious di Trieste. Saranno ospiti Alex Sipiagin alla tromba e flicorno e Michele Calgaro alla chitarra.
Alex Sipiagin è nato in Russia l’11 giugno 1967 a Yaroslav, una cittadina a 150 miglia da Mosca, famosa per essera stata la città natale del più importante cantante d’opera russo Leonid Sobinov. A 12 anni Alex cominciò a suonare in un’orchestra di bambini sotto la guida del grande trombettista sinfonico il maestro Mikhael Tsamaiev che fu il suo primo ispiratore. All’età di 15 anni Sipiagin rimase affascinato da alcune registrazioni dei bebop ed altri generi jazz, registrazioni che all’epoca non erano facili da trovare in Russia. Sapeva che per avere l'opportunità di imparare di più doveva andare a Mosca ed a 16 anni fece un’audizione per essere ammesso al Moscow Music Institute, ed ebbe la meglio su altri 50 aspiranti. Là unì i suoi studi classici con esplorazioni nel jazz. A 19 anni, dopo aver preso il suo baccalaureato, Sipiagin fece per due anni il servizio militare nell’allora esercito sovietico e poi, dopo il congedo, continuò la sua educazione classica presso il Conservatorio Gnessin di Mosca pagandosi le tasse scolastiche esibendosi in concerti pop ed incisioni varie. Nel 1990 Alex vinse il 1° premio al concorso per giovani suonatori jazz della città di Rostov. Nello stesso anno, nel bel mezzo della “glasnost” andò negli Stati Uniti per la prima volta esibendosi con un gruppo jazz di studenti russi, i Green Wave. Gli fu chiesto di partecipare al Corpus Christi Jazz Festival in Texas, e là attirò l’attenzione di molti e venne invitato a partecipare al Concorso Internazionale “Louis Armstrong”. Altri trombettisti che parteciparono al concorso furono alcuni che negli anni seguenti diverranno famosi come Nicolas Payton, Ryan Kisor, Scott Wendholt ed altri ancora. Alex arrivò quarto e gli fu donata una tromba Bach dal leggendario Clark Terry, la tromba che Sipiagin suona ancor oggi. Dopo un anno impegnativo e stimolante nel 1991 Alex decisi di trasferirsi a New York. Dopo aver lavorato per circa un anno a varie jam sessions, nel 1992 ottiene un ingaggio fisso allo Sweet Basil con la Gil Evan’s Band. L’anno seguente diviene membro dell’orchestra Zebra Coast di Gil Goldstein. L’anno seguente lo troviamo con la Concert Jazz Band di George Gruntz ed anche con i Mozamba, la band di Bob Moses. Nel 1995 i trombettisti Earl Gardner e Randy Brecker fecero entrare Sipiagin nella Mingus Big Band nella quale suona regolarmente ancor oggi, così come nella Mingus Dynsty e nella Mingus Orchestra. Fin dal 2000 Dave Holland lo invitò ad unirsi regolarmente alla sua Big Band ed attualmente anche con i suoi gruppi più piccoli. Ha inciso nel 20032 con il quintetto di Michael Brecker ed ha fatto più tournee con il grande sassofonista americano. Molte delle sue incisioni hanno ricevuto delle nominations, ed alcune anche premiate, ai premi Grammy. Ha suonato anche con Eric Clapton, Dr. John, Aaron Neville, Elvis Costello, Dave Sanborn etc. Come solista ha sette album alle spalle, e con il suo gruppo ha girato un po’ ovunque in America ed in Europa. Oltre a continuare a suonare con Dave Holland e con i vari gruppi Mingus, è membro pure della Monday Michiru Band. Saltuariamente dà anche lezioni alla New York University e tiene clinics in giro per il mondo.
Chitarrista di formazione autodidatta, Michele Calgaro ha frequentato stages di Mick Goddrick, Jim Hall, Lee Konitz e Dave Holland ed i corsi estivi di Siena Jazz ’90 dove e stato premiato fra i migliori allievi. Nella prima metà degli anni’80 ha suonato musica folk, blues e ragtime secondo la tecnica del fingerpicking, ha tenuto vari concerti, esibendosi anche con i chitarristi Duck Baker, Stefan Grossman e John Renbourn. Ha successivamente approfondito la studio del jazz e suonato in ambito regionale con vari gruppi, tra cui un quintetto e un trio a suo nome, col quale ha partecipato al festival Jazz Bassano ’88. Dal 1990 è professionista ed ha acquisito sempre maggior prestigio a livello nazionale. In quel periodo forma un suo gruppo, "The Edge Quartet”, col sassofonista canadese Robert Bonisolo ed un trio con Lorenzo Calgaro (contrabbasso) e Gianni Bertoncini (batteria), con i quali registra, assieme al trombettista Paolo Fresu, il CD “THE EDGE”. Suona nei gruppi di Claudio Fasoli (quartetto e trio), nella Lydian Sound Orchestra diretta da Riccardo Brazzale (con Kenny Wheeler, Flavio Boltro, Gianluigi Trovesi, Pietro Tonolo, Rudi Migliardi, Mauro Negri, ecc.), con cui registra 3 CDs. Collabora inoltre con il tedesco Manfred Schoof, con il franceseErik Truffaz, con il brasiliano Claudio Roditi, con Furio Di Castri, Emanuele Cisi, Mauro Negri, Paolo Birro, Sandro Gibellini, Michael Gassman. Sia in veste di chitarrista che di arrangiatore ha lavorato in ambiti di musica “leggera” e teatrali con Rossana Casale, Giorgio Albertazzi, Federico Zecchin. Con questi ultimi ha suonato nel CD “Del Magico Mondo”. Partecipa a vari festivals, tra i quali: Vicenza Jazz, Siena Jazz, Treviso Jazz, Europe Jazz Festival di Noci, Verona Jazzitalia, rassegna di jazz italiano all’Alpheus di Roma, Barga Jazz, Festival di Iseo, festival di Brissago (Svizzera), Bergamo Jazz, Art & Jazz di Trapani, Milano Estate, e in numerose rassegne (Torino, Bologna, Roma, Bari, Trieste, ecc.).
A partire dal ‘91 è direttore artistico della scuola di musica "Thelonious"di Vicenza dove insegna chitarra jazz, tecnica dell’improvvisazione e musica d’insieme. Attualmente, oltre alle consuete collaborazioni, suona stabilmente col quartetto della cantante di Chicago Cheryl Porter, nel Monkgomery quartet, assieme a Sandro Gibellini, Marco Micheli e Gianni Bertoncini nella Lydian Sound Orchestra e conduce un trio con contrabbasso e batteria (Paolino Dalla Porta e Mauro Beggio) fondamentalmente basato su musica e repertorio del pianista Bill Evans.
Per informazioni http://nuke.thelonious.trieste.it/

venerdì 23 aprile 2010

Parte oggi il New Orleans Jazz Fest

Il New Orleans Jazz Fest 2010 parte oggi. L'annuale celebrazione della musica e dell'eredità culturale di New Orleans raggiunge la sua 41a edizione e durerà fino al 2 maggio. La manifestazione si presenta come una vera celebrazione di ogni stile musicale associato con la città: blues, R&B, gospel, Cajun, zydeco, Afro-Caribbean, folk, Latina, rock, rap, country, bluegrass e naturalmente jazz sia tradizionale che contemporaneo.
Una straordinaria non-stop di musica, eventi culturali, cibi tipici che interesseranno la città della Louisiana per quasi 24 ore al giorno che sarà invasa da turisti provenienti da tutte le parti del mondo.
Tra gli eventi principali di questo festival ci sarà il concerto di riunificazione tra Paul Simon ed Art Garfunkle, ed inoltre Pearl Jam, Aretha Franklin, Van Morrison, Lionel Richie, Anita Baker, The Neville Brothers, Allman Brothers Band, mentre tra i jazzisti ci saranno Joe Lovano, Terence Blanchard, Donald Harrison, Irvin Mayfield & the New Orleans Jazz Orchestra, Dee Dee Bridgewater, Nicholas Payton, Marcus Miller, Brian Blade & the Fellowship, Wayne Shorter e tanti altri.
Per informazioni e per il programma del festival www.nojazzfest.com
L'emittente radiofonica di New Orleans WWOZ trasmetterà a partire delle ore 18,30 (ore 11,30 locali) la diretta dell'intera manifestazione.
Per ascoltare la diretta radiofonica clicca qui.

Push - Jacky Terrasson

La Concord Jazz sta per pubblicare il nuovo album del pianista Jacky Terrasson dal titolo Push. Nell'album il pianista è accompagnato dal suo nuovo trio che comprende il recente vincitore della prestigiosa Thelonious Monk Competition, Ben Williams al basso, Jamire Williams alla batteria e numerosi ospiti speciali come come l'armonicista Gregoire Maret, il sassofonista Jacques Schwarz-Bart, il chitarrista Matthew Stevens ed il percussionista Cyro Baptista.
Push, album di debutto di Terrasson con la Concord Jazz, presenta sette nuove composizioni di Terrasson, nonchè fresche riproposizioni di standard, tra cui due brani Monk ed una splendida versione della melodia senza tempo Body and Soul di Porter ed una improbabile versione di Beat It di Michael Jackson.
"E' sicuramente un punto di svolta per me", dice il nativo di Berlino, ma parigino di crescita e newyorkese di adozione Terrasson. "Sono con una nuova etichetta, ciò ha reso importante che facessi le cose in modo diverso. Volevo una sonorità diversa, e ho voluto esplorare quello che ho attraversato personalmente negli ultimi anni. Ci sono groove, battiti e vibrazioni differenti."
E come suggerisce il titolo dell'album, la musica è guidata da una inerente spinta in avanti. Terrasson, spiega, "Push significa far accadere le cose, spingersi verso nuove direzioni. Questo è ciò che l'album racconta."
Parte di questa spinta include il debutto vocale del pianista su due canzoni. "Io so di non essere un cantante," dice. "Ma l'ho sentito nella mia testa per anni, così ho pensato, perché no?" Lui ride e aggiunge: "Ho spinto per questo."
Per preordinare l'album sul sito CdUniverse, si può visitare questo indirizzo.

E' possibile vedere un video di Terrasson che, al piano solo, presenta una magica versione di Just a Gigolo


Venezia Jazz Festival 2010

Pat Metheny, Norah Jones, Paco De Lucia sono le star delle terza edizione di Venezia Jazz Festival. In programma dal 23 luglio al 1 agosto, il calendario prevede un ricco carnet di eventi, con concerti, mostre, workshop, reading, ospitati nei luoghi più affascinanti della città.
L’inaugurazione del festival è affidata al Pat Metheny Group che, a coronamento di una carriera straordinaria, approda il 23 luglio nel palcoscenico di Piazza San Marco. Nel corso di più di 30 anni, il chitarrista ha sfornato album dopo album, ciascuno dei quali documenta brillantemente ogni aspetto della sua carriera artistica assolutamente unica e difficilmente classificabile. Dando prova di un’insaziabile energia creativa, Metheny ha sperimentato ogni via che la musica del ventunesimo secolo potesse offrire. Ma per le moltitudini di fans in tutto il mondo, non c’e miglior ruolo che lo definisca se non quello di bandleader del Pat Metheny Group, uno dei gruppi più influenti ed acclamati dell’ultimo quarto di secolo. Fondato nel 1977, unico vincitore nella storia della musica di 7 Grammy Awards consecutivi per sette uscite successive, dopo cinque anni di silenzio ritorna in Italia portando con sé la sua inarrestabile immaginazione e irrefrenabile creatività, che riescono ancora a sorprendere il pubblico.
L’altro grande concerto di Piazza San Marco è firmato dalla cantautrice newyorkese Norah Jones che presenta il 24 luglio al pubblico italiano il suo nuovo lavoro The Fall. Per la pluri-vincitrice dei Grammy Awards, il progetto rappresenta una fase di sperimentazione sonora, con numerose nuove collaborazioni e nomi del calibro di Jacquire King (Kings of Leon, Tom Waits, and Modest Mous), Ryan Adams e Will Sheff degli Okkervil River, ma anche il suo storico partner artistico Jesse Harris. Norah Jones si presenterà inoltre non con l’abituale pianoforte, ma con la chitarra, prediletta anche in sede di registrazione.
E’ ancora un altro importante nome internazionale a solcare un tempio della musica: Paco de Lucia, genio virtuoso della chitarra flamenca, sarà al Teatro La Fenice di Venezia il 29 luglio. Una musica di ampio respiro, la sua, nella quale le rivoluzionarie innovazioni partono da una profonda conoscenza e da un sacrale rispetto delle tradizioni e in cui le contaminazioni fra generi sono la regola, costituendone l’esplosiva alchimia. Così, questo straordinario musicista ha combinato la propria arte con il jazz di Chick Corea, Al Di Meola e John MacLaughlin, con i ritmi brasiliani e con la musica classica spagnola della quale è diventato ambasciatore universale. Presenta il suo ultimo capolavoro, “Cositas Buenas”, album diviso fra la Spagna e il Messico, con il quale torna a rivoluzionare la storia.