giovedì 27 maggio 2010

Màrcio Rangel: Capua si tinge di sonorità verde-oro

In occasione della sesta edizione della kermesse “Luogo della Lingua Festival” promossa dall’associazione “Architempo” che coinvolge la città di Capua ogni anno e che vede la letteratura formare coalescenze sublimi con cinema, teatro, arte visiva, audiovisiva e multimediale, musica e tutte le sue frizzanti sfumature, l’architettura, la scultura e la fotografia. Una varietà espressiva che appartiene e che non poteva non essere celebrata a Capua, uno dei luoghi simbolo dell’espressione che prima di ogni altra ci appartiene, la lingua italiana. Capua, considerata da Cicerone “Porta del Sud” fino all’Unità d’Italia, custodisce la “Carta di Capua” o “Placito Capuano”, documento riconosciuto dagli storici come il primo del volgare italiano, quindi vanto per il patrimonio linguistico e culturale.
Nella splendida location di Palazzo Lanza, Storica costruzione quattrocentesca, venerdì 28 maggio, va in scena il chitarrista - compositore brasiliano Marcio Rangel. Il superbo musicista di Rio Grande do Norte ha iniziato a suonare chitarra (elettrica ed acustica) da autodidatta, per poi perfezionarsi presso il Conservatorio di D'Alva Stella (RN). A 17 anni forma il suo primo gruppo, suonando e registrando con vari artisti della sua amata terra, e grazie alla partecipazione in numerosi seminari di musica in Italia che sviluppa la sua tecnica “distinct-tecnique”, suonando da mancino con la chitarra destrorsa. Le peculiarità di questa tecnica sono suonare le note basse con l'anello al mignolo e la melodia con pollice, indice e medio. In questo modo si ottiene un suono spigoloso e di volume sui bassi e vellutato e delizioso nelle altezze superiori, dando vita a nuove posizioni d’accordo. Il suo primo lavoro "Palavras do Som" (parole di suono) in qualità di solista e compositore, è stato licenziato nel 2002 dalla casa discografica italiana "Azzurra Music" (Verona). Integrandolo nel florilegio della collezione "Guitar Masters Club" (di cui ne fanno parte Toquinho, Paulinho, Nogueira, Irio De Paula, Eros Roselli). Nel 2003, la rivista italiana “Guitar Player” recensisce "Palavras do Som", citando la tecnica unica di Márcio, e paragonandolo al "guru della musica brasiliana" Egberto Gismonti, raccomandando a coloro che amano veramente la tradizione chitarristica brasiliana. La composizione "Romance do Sertão" ha debuttato nel "Museo di Santa Maria della Scala (Siena) dove ha ricevuto ampio successo di consensi in diversi periodici musicali. Egli ha ricevuto molta attenzione dalla stampa europea, tra cui una intervista della rivista “New Age”, mettendolo sullo stesso piano di artisti internazionali come Pierre Bensusan, Regina Carter, Bliss, Shaurasia e altri. Ha anche ricevuto un premio per la composizione al Concorso Internazionale di Chitarra di Poggibonsi Siena. Degne di nota le sue collaborazioni in numerosi concerti in duo e trio, che gli hanno permesso di calcare le migliori platee e Festival Internazionali con: Fabrizio Bosso, Gilson Silveira, Rogerio Botter Maio, Ricardo Da Silva, Ettore Bonafé, Roberto Taufic, Cacau Arco Verde, Wagner Tse, Henry Kneuer, Giovanni Palombo.
Quindi lasciamoci pervadere dalle scintille anìmiche di Marcio, magari degustando un buon Falerno D.O.C. rapiti dalle alchimie cerebrali di questa splendida “Terra di Lavoro”.

Ecco un video di Màrcio Rangel in duo con Fabrizio Bosso, che presentano una bella versione di O Grande Amor, live al al Centro Civico di Tavagnacco (UD) nel 2009

Il vocalist Elling in sintonia con i maestri

Sul sito del quotidiano San Francisco Chronicle è stato pubblicato uno splendido articolo con intervista del grandissimo vocalist Kurt Elling, in occasione del concerto che terrà domenica prossima nella città californiana insieme alla Count Basie Orchestra, dove proporrà una rivisitazione della straordinaria musica nata dall'incontro negli anni '60 tra Frank Sinatra e la originale Basie Orchestra.
Ecco un estratto dell'intervista:
"That music is fully ingrained in my consciousness," says Elling, the Grammy-winning vocalist who counts Sinatra among the many musicians and poets who've fed his expansive art. "To sing these charts with the Basie band is a thrill of a lifetime, and that's not hyperbole or exaggeration. I've worked with a number of big bands, but there's nothing in life like the Basie band."
Sinatra was equally jazzed about merging his voice with the band's bracing sound. "I've waited 20 years for this moment," Sinatra said when he began recording the "Sinatra-Basie" album in 1962. It was the first of three collaborations with the minimalist piano master and his orchestra, which epitomized the relaxed propulsion of swing. Basie died in 1984, but the band continues under the leadership of trombonist Bill Hughes.
Elling, a literary-minded musician who was studying at the University Chicago Divinity School in the early '90s when he heard the siren call of jazz, will sing a number of tunes from the live 1966 Basie-Sinatra summit, "Sinatra at the Sands." He may do "Street of Dreams" or "You Make Me Feel So Young," "I've Got You Under My Skin" or perhaps "One for My Baby." SFJazz, which is producing the show, got the original charts from the Quincy Jones Archives in Los Angeles.
A largely self-taught singer with a rich, fluid baritone voice, Elling is equally adept interpreting ballads, scatting on standards and setting his original lyrics to improvised jazz solos, in the tradition of vocalese masters like Jon Hendricks. But unlike Hendricks - a prime inspiration, as is former San Francisco singer Mark Murphy - Elling draws on and refers to poets as diverse as Rumi, Rilke and Rexroth in his work.
"I've tried to educate myself in the world and what's beautiful and what has meaning and is lasting. Then I just follow my intuition and see how it fits," says Elling, who has created multidisciplinary works for Chicago's Steppenwolf Theatre.
He's on the phone from the Los Angeles recording studio where he and famed pop producer Don Was are working on Elling's new disc, "The Gate." Like his cinematic 2007 album, "Nightmoves," which encompassed everything from a bopping Betty Carter tune to Elling's musical setting of the Theodore Roethke poem "The Waking," the new record bridges a range of material and arrangements. The mix includes the Miles Davis-Bill Evans classic "Blue in Green" and King Crimson's "Matte Kudasai."
"We're trying to get a sound that is a signature event, in terms of the material and the way the arrangements play themselves out," says Elling, 42, who won this year's Grammy for best jazz vocal album for "Dedicated to You: Kurt Elling Sings Coltrane and Hartman." He aims for an album that "has a heft, a kind of ethos, not just a record with a bunch of tunes."
Elling loves the signature sound of those evergreen Basie-Sinatra records. Some records define a certain kind of music, "the way certain things in life sound," he says, and those albums do that.
"These were artistically mature men, emotionally and intellectually in their creative prime," Elling says. This music, he adds, expresses the experiences of men who are "broken-hearted but strong, bloodied but unbowed." As for Sinatra, "he sings with this incredible sense of swing, completely relaxed in every setting. He only chooses material he can get 100 percent behind."
A questo link è possibile leggere l'articolo integrale.

Ecco un video di Kurt Elling, che presenta una splendida versione di My Foolish Heart, registrata al Montreal Jazz Festival il 4 luglio 2007.

Vittoria Jazz Festival 2010

Gli appassionati dicono che il grande jazz si esprima soprattutto attraverso una talentuosa capacità di improvvisazione; ed è vero.
Il nostro jazz, invece, quello che caratterizza il “Vittoria Jazz Festival Music & Cerasuolo wine” – giunto alla terza edizione - non è frutto di improvvisazione, ma del duplice impegno di un’Amministrazione Comunale che, da un lato, ha operato con grande lungimiranza e, dall’altro, di un artista eccezionale come Francesco Cafiso, che del festival è il direttore artistico.
Un binomio dimostratosi vincente e che ancora una volta, ne siamo certi, darà risultati di grande prestigio e riuscirà a trasformare la nostra città, dal 29 maggio al 30 giugno, nella capitale italiana del jazz. E nomi quali Flavio Boltro, Matteo Brancaleoni, Enrico Rava, Javier Girotto e Aires Tango, l’Orchestra Jazz del Mediterraneo e Maurizio Giammarco, Bob Mintzer e Kenny Barron, oltre, ovviamente, allo stesso Francesco Cafiso sono garanzia di un altissimo standard qualitativo della musica jazz – di carattere internazionale - che sarà possibile ascoltare nello splendido scenario di Piazza Enriquez.
Positiva conferma anche per i Jazz Club diVino dei venerdì della rassegna, curati dal Consorzio di tutela del Cerasuolo di Vittoria, che ospiteranno artisti quali Gianni Cazzola, Nicola Angelucci e Daniela Spalletta, e daranno modo ai tantissimi appassionati di jazz di degustare dell’ottimo Cerasuolo docg ed altri vini doc di Vittoria, che accompagneranno piatti tipici della nostra cucina mediterranea, realizzati con il buon pesce di Scoglitti e con le nostre primizie orticole.
Ancora una volta, quindi, la scommessa è vinta! Questo anche grazie alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha concesso il suo alto patrocinio alla rassegna, ed alla Provincia Regionale di Ragusa ed all’Assessorato Regionale al Turismo.
Un doveroso ringraziamento va anche a tutti gli Enti ed alle aziende che, a vario titolo, sostengono il “Vittoria Jazz Festival Music & Cerasuolo Wine”. Quest’anno, come iniziativa collaterale, il festival ospiterà nella Sala Mazzone dell’Antica Centrale Elettrica la mostra personale di Andrea Cantieri, pittore catanese che è anche musicista fortemente influenzato e ispirato dall’universo jazzistico, che stempera il proprio vissuto in un binomio artistico che ingloba in un unicum catartico il suono all’immagine.
Per informazioni: www.vittoriajazzfestival.it

La musica improvvisata non è uguale al jazz

Sul sito The News Record è apparso un interessante articolo che cerca di spiegare il rapporto tra improvvisazione e jazz. Ecco un estratto dell'articolo.
Despite my indifference for Wynton Marsalis’ music, I have to say I subscribe to a mindset attributed to the famed trumpeter: jazz is free-form music. I can hear jazz in everything, but everything is not jazz.
Marsalis, and myself consequently, can be considered as barriers to the growth and exploratory nature of jazz.
But still.
Just because there are electric guitars in a song doesn’t make it rock and roll. Violins don’t make something classical (Dave Matthews Band is not classical, classy or good.).
Similarly, just because there is improvisation in something, it isn’t jazz. I cringe every time I hear the saxophone in “Careless Whisper,” which makes me want to crash my car into a black hole while lighting myself on fire. Hopefully the afterlife has nothing to do with synthesizers, either. Then, if there is such a thing as an afterlife, I hope I can meet Adolphe Sax and tell him all the havoc his invention has caused.
Then have a cocktail with Dex.
Music changes; that’s just the nature, I suppose. I have to even be happy that jazz exists and how the blues birthed it. However, I really can’t deal with some of the stuff being labeled as jazz nowadays.
Jazz changes, I can deal with that. I can cope with avant-garde styles and seemingly random phrases and dissonance. I’ve had a moment of clarity while listening to Albert Ayler tunes.
For instance, listen to a song like “Giant Steps” by John Coltrane. Then, listen to “Spiritual.” Then listen to “Ascension.” It’s the same guy, but you can hear an evolution in the way he plays. “Ascension” can sound like noise, I admit, but that’s just how it turned out. That was Trane’s expression, which is beautiful.
Pharaoh Sanders is virtuosic, too, in the song. It’ll take me a while to fully understand what’s being said — if it’s anything at all — but I’m confident I’ll be able to someday.
On the other hand, even if something sounds good, it isn’t necessarily jazz. The Jazz Messengers played jazz. You can hear some bluesy parts of songs, but there’s nothing holier than Art Blakey, Wayne Shorter, Lee Morgan, Bobby Timmons and the bass lines of Jymie Merritt.
It doesn’t get better than that. Really.
Forget all the fog machines and playing to sold-out crowds in auditoriums and huge venues. Jazz is meant to be played in an intimate place for an intimate experience, even if it reminds of you going on a bender and sinning in bulk.
Think about it. I’ll leave with a quote, not even mine, but one of the great Duke Ellington.
“By and large, jazz has always been like the kind of a man you wouldn’t want your daughter to associate with.”
Per leggere l'articolo integrale visita questo indirizzo.

Il Jazz in Italia: dallo Swing agli anni '60, concerto di presentazione

Venerdi' 28 maggio all'Auditorium Parco della Musica di Roma il concerto di presentazione del secondo volume del critico Adriano Mazzoletti dal titolo "Il Jazz in Italia. Dallo swing agli anni Sessanta" (EDT) con la partecipazione di oltre 50 musicisti del jazz italiano, in un concerto che sarà trasmesso in diretta su Radio3 a partire dalle ore 21.
La storia del grande jazz italiano rivive per una sera all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Più di cinquanta musicisti si esibiranno venerdì 28 maggio alle ore 21 nella Sala Petrassi per presentare il nuovo libro di Adriano Mazzoletti, "Il Jazz in Italia. Dallo swing agli anni Sessanta", pubblicato da EDT.
Alla conversazione a più voci tra esperti di jazz italiano e non solo - Leone Piccioni, Marcello Piras, André Clergeat, Marco Santoro e naturalmente l’autore del testo, Adriano Mazzoletti - si alterneranno momenti musicali dedicati alla straordinaria stagione del jazz italiano dal secondo dopoguerra agli anni Sessanta.
Si esibiranno formazioni storiche riunitesi per l’occasione, come il Sestetto Dino & Franco Piana con Sandro Deidda, i Saxes Machine di Bruno Biriaco, il Trio Amedeo Tommasi-Giovanni Tommaso-Franco Mondini e la Nuova Roman New Orleans Jazz Band, alcuni fra i protagonisti di quegli anni, da Giampiero Boneschi, a Gianni Coscia, a Carlo Loffredo, e artisti della scena attuale come Enrico Pieranunzi (anche in veste di musicologo e autore dell’introduzione al volume), Rosario Giuliani, Ramberto Ciammarughi, Franco Piana, Luca Begonia e il Quintetto Swing di Emanuele Urso. La St. Louis Big Band diretta da Antonio Solimene infine renderà omaggio all’opera di Piero Piccioni con la voce della figlia Valentina e Marcello Rosa al trombone.
A Piero Angela il compito di introdurre la serata, alternando le digressioni degli esperti ai brani, tra swing, dixie e jazz di oggi.
Per ascoltare in diretta il concerto clicca qui.

È il 1943: mentre dalla Sicilia le truppe americane risalgono lo Stivale, liberandolo dal nazifascismo, il jazz si afferma definitivamente come la musica del momento nelle sue varianti – dai solisti nei piccoli club alle grandi orchestre, dell’EIAR prima e della RAI poi. Attraverso la radio, artisti come Piero Piccioni, Armando Trovajoli, Oscar Valdambrini, Giampiero Boneschi e Gianni Basso portano definitivamente il jazz nelle case italiane. Adriano Mazzoletti, in questo secondo volume de Il Jazz in Italia, soppesa e descrive gli eventi che nei tre decenni dal ’35 al ’65 circa hanno plasmato il suono italiano: attraverso ritagli di giornale, carteggi privati, archivi pubblici e ordini di servizio, programmi radio, film, registrazioni di concerti e molti altri documenti, Mazzoletti mette in risalto l’abilità di quei musicisti-pionieri, che nel dopoguerra hanno saputo declinare il linguaggio del jazz rispetto alla canzone e alla musica “ufficiale” unendo il gusto per la melodia allo swing americano. Nei due tomi che compongono il volume c’è spazio anche per la storia recente d’Italia, dalla Liberazione alle prime elezioni del ’48 fino agli anni Sessanta della DC. Scorrono le vicende musicali e non solo delle grandi città come Roma (capitale del cinema, e quindi delle colonne sonore), Milano (epicentro dell’editoria musicale), Torino (sede della grandi orchestre), ma – per la prima volta – viene pesato l’apporto della provincia, ben più di una semplice periferia jazz dell’impero. È in centri come Perugia, Pescara o Verona infatti che negli anni ’70 nasceranno i grandi festival, destinati a durare negli anni, mentre è nell’area americanizzata di Trieste (il famoso TLT – Zona A) o durante la Liberazione nel Foggiano, da cui partivano gli aerei statunitensi, che il jazz italiano può confrontarsi liberamente con quello d’Oltreoceano.
Parallelamente a tutto questo, Mazzoletti compila un poderoso apparato di scritti altrui, documenti d’epoca, indici di consultazione. Una vera e propria geografia del jazz italico, utile per districarsi nel ramificato mondo dei nomi, delle orchestre e della critica del periodo, che attraverso la carta stampata ha esercitato un ruolo basilare nello sviluppo e nella crescita di un suono, quello italiano, oggi riconosciuto internazionalmente a livelli di eccellenza.

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mercoledì 26 maggio 2010

Podcast - Keith Jarrett Trio Live at Allentown

La trasmissione A Todo Jazz dell'emittente di stato spagnola Radio 3, ha trasmesso recentemente un concerto del trio di Keith Jarrett, con Gary Peacock al contrabasso e Paul Motian alla batteria, registrato al Deer Head Inn della sua citta natale Allentown nel 1982.

Qui è possibile ascoltare il concerto in streaming, o scaricare il podcast in formato Mp3.

James Carter At Newport su JazzSet

La celebre trasmissione radiofonica della NPR, JazzSet condotta da Dee Dee Bridgewater, ha presentato questa settimana un magnifico concerto del sassofonista James Carter live al Newport Jazz Festival.

Qui si può ascoltare questo strepitoso live:

Al Di Meola al Blue Note di Milano

Notizia tratta dall'edizione milanese del sito del Corriere della Sera:
Dall'Argentina alla Spagna passando per il Marocco e, naturalmente, l'Italia. È un giro del mondo sulle sei corde quello che Al Di Meola regala con i suoi concerti. Un viaggio che da mercoledì 26 a venerdì 28 maggio si ripeterà due volte per sera al Blue Note. Un rapporto particolare lega il musicista italoamericano a Milano. Al Di Meola torna spesso a suonare in città e uno dei due dischi della serie «World Sinfonia», uscito nel 2008, si intitola proprio «La Melodia: live in Milano». Sul palco l'artista sarà accompagnato da Fausto Beccalossi alla fisarmonica, Peo Alfonsi alla chitarra, Gumbi Ortiz alle percussioni, Peter Kaszas alla batteria e Victor Miranda al basso.
In una performance che mette in luce l'anima più acustica di Al Di Meola. Fatta eccezione per un ritorno di fiamma di quattro anni fa, immortalato dal dvd del concerto di Leverkusen, il chitarrista imbraccia sempre meno la chitarra elettrica. Una scelta obbligata anche dai disturbi all'udito causati da anni di volumi troppo alti. Dei suoi 55 anni, infatti, Di Meola ne ha trascorsi più di 30 sul palco e in sala di registrazione. Nel 1974, non ancora ventenne, si è unito a Chick Corea nella band dei Return to Forever. In breve tempo si è fatto strada a suon di assoli velocissimi e di una tecnica innovativa. Caratteristiche racchiuse già nel suo primo album solista, «Land of the Midnight Sun», datato 1976.
Tante le collaborazioni prestigiose nel corso della sua carriera: dall'esperienza con Paco De Lucia fino a quella tutta italiana con Pino Daniele. Album dopo album il nome di Al Di Meola è diventato sinonimo di «fusion». Per avere un'idea del suo stile basta ascoltare il suo secondo lavoro, «Elegant Gypsy», in cui le sperimentazioni jazz incontrano le influenze latine. Il risultato è uno stile che per ben 14 volte gli vale il titolo di «miglior chitarrista» assegnato dalla rivista Guitar Magazine.

Ecco un video di Di Meola live a Burghausen (Germania) il 19 marzo 2009

To The One - John McLaughlin 4th Dimension

Nelle note di copertina di To the One, il chitarrista John McLaughlin, scrive un breve saggio sulla profonda ispirazione che A Love Supreme di Coltrane ha avuto su di lui sia musicalmente che spiritualmente. Nella Mahavishnu Orchestra, quel debito era evidente; inoltre McLaughlin ha anche reso omaggio diretto al sassofonista sull'album After the Rain, che presentava non solo materiale di Coltrane, ma vedeva anche la partecipazione del batterista Elvin Jones.
Con il suo gruppo 4th Dimension, formato da Gary Husband alle tastiere; Mark Mondesir alla batteria e il bassista camerunense Etienne M'Bappé - McLaughlin esplora un jazz elettrico che è profondamente e direttamente in debito con la musica modale e di interazione lirica di Coltrane, come anche negli aspetti emotivi e spirituali delle espressioni del sassofonista.
Questo è davvero una delle migliori registrazioni di jazz-rock disponibili. La musicalità e l'energia del gruppo dovrebbe essere un modello per qualsiasi aspirante musicista professionista. Questo è un gruppo veramente eccezionale guidato da uno dei migliori chitarristi in circolazione. E sicuramente diventerà uno dei classici di tutti i tempi di questo genere.

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Ed ecco il video di The Fine Line, tratto dall'album

Nina Simone. Una vita - David Brun-Lambert

II suo vero nome era Eunice Waymon, ma nell'America segregazionista degli anni trenta per affermarsi dovette ribattezzarsi Nina (come bambina in spagnolo) Simone (come l'ammirata Simone Signoret). Avrebbe voluto entrare al conservatorio e diventare la prima concertista di musica classica nera, ma proprio il colore della sua pelle glielo impedì. Divenne quindi cantante jazz per caso. Ma, pianista prodigiosa e voce potente qual era, conobbe un successo folgorante, grazie anche alle grandi capacità sceniche.
Nella sua ben documentata biografia di Nina Simone, David Brun-Lambert si sofferma tanto sulla figura pubblica della straordinaria musicista e dell'impegnata militante politica, quanto su quella privata della donna vulnerabile, che andò incontro a delusioni e sconfitte, e conobbe la solitudine, soprattutto negli ultimi anni di vita. Attingendo tra l'altro all'autobiografia di Nina Simone e alle testimonianze di figure a lei vicine (manager, musicisti, amici intimi, avvocati, oltre ad artisti come Charles Aznavour o Toni Morrison), ma anche alle parole di persone meno celebri che l'hanno conosciuta e hanno lavorato con lei, l'autore offre un ritratto a tutto tondo del suo personaggio, al di là dei cliché.
La componente artistica e musicale riveste una grande importanza nel libro, ma non mancano anche notazioni sulla militanza politica, a fianco del Movimento per i diritti civili dei neri a partire dagli anni cinquanta e sessanta.

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Le polifonie vitali di Charles Mingus

Il sito Il Recensore.com ha pubblicato una bella recensione del libro di Stefano Zenni, Charles Mingus. Polifonie dell’universo musicale afroamericano, pubblicato da Stampa Alternativa nel 2007.
Ecco un estratto dell'articolo:
Il libro è incentrato principalmente sull’opera del grande compositore e contrabbassista jazz soffermandosi anche sulla sua vita e su un periodo storico americano difficile ma pieno di fermento culturale.
Stefano Zenni analizza i brani storici di Charles Mingus seguendo un filo concettuale più che cronologico addentrandosi nei meandri della sua musica e spiegando ogni singolo dettaglio con la precisione di un giornalista e la passione di un fan.
“Charles Mingus” è un’opera fondamentale sia perché per la prima volta in Italia viene analizzata l’opera mingusiana alla luce di un quadro culturale e antropologico americano ma soprattutto perché è un libro che appassiona e incuriosisce il lettore nonostante le diverse ostilità e parti tecniche che si incontrano durante il percorso di lettura. Ma la difficoltà di comprensione di alcuni passaggi oggettivamente difficili non deve scoraggiare il lettore che, sicuramente, rimarrà estasiato dalla bravura di Zenni nell’affrontare un autore raffinato ma complesso e dalla grandezza di un personaggio che ci ha lasciato alcune pietre miliari come “The Black Saint and the Sinner Lady” e che ha anticipato diverse tendenze grazie alla sua intelligenza musicale e ad un’energia creativa mai esaurita nel corso della sua carriera.
Il saggio di Stefano Zenni, quindi, non è una biografia patinata ma un punto di riflessione, un’opera didattica che strizza l’occhio al musicista e ai fan di Mingus ma che non trascura affatto i neofiti ponendo, infatti, a corollario del testo una bibliografia introduttiva all’artista, una bibliografia, una discografia selezionata e una videografia.
La collana “New Jazz People” della casa editrice Stampa Alternativa riesce ancora una volta ad offrire un saggio importante che supera sicuramente le aspettative del lettore introducendolo in un universo sospeso tra composizione e scrittura, musica contemporanea e jazz, dove la musica si fa portatrice di valori sociali condivisibili che lega al suo percorso comunicativo.
Qui si può ascoltare una intervista all'autore del libro.

Renzi, D’Amato, De Federicis: domenica 30 maggio tre abruzzesi suoneranno alla Carnegie Hall di New York

Notizia tratta dal sito www.lopinionista.it
Domenica prossima, 30 maggio, presso la prestigiosa Carnegie Hall di New York, saranno presentati in concerto tre musicisti abruzzesi, ben noti per la loro attività concertistica a livello internazionale, Marco Renzi (compositore, arrangiatore, direttore d’orchestra), Bepi D’Amato (clarinetto) e Mauro De Federicis (chitarra).
Marco Renzi è il fondatore e direttore stabile della Italian Big Band, della quale Bepi D’Amato e Mauro De Federicis sono sempre stati i solisti principali. Marco Renzi e Bepi D’Amato (quest’ultimo considerato uno dei più grandi clarinettisti di Jazz viventi da alcuni musicisti di fama internazionale come Buddy De Franco, Jon Faddis, Dee Dee Bridgewater, Gary Smulyan), negli ultimi anni hanno portato nel mondo le più belle melodie italiane di ogni tempo, arrangiate da Renzi in stile americano per l’organico della big band.
I due musicisti hanno performato numerosi concerti (Renzi come direttore, D’Amato come solista) in Germania, Emirati Arabi Uniti, Romania, Grecia, Brasile, Taiwan, Stati Uniti, spesso con ospiti del calibro di Dee Dee Bridgewater o Jon Faddis, e tenuto masterclasses in varie università statali e private in Germania (University of Mannheim) e Stati Uniti: De Paul University e Columbia College a Chicago, Western Illinois University a Macomb, IL, Georgia State University ad Atlanta, University of Colorado a Boulder, University of Utah a Salt Lake City etc.
Proprio con la Western Illinois University Orchestra, Marco Renzi e Bepi D’Amato si esibiranno domenica prossima 30 Maggio 2010 a New York, in una delle sale da concerto più importanti ed ambite (dai musicisti!) del mondo, accompagnati per la grande occasione anche da Mauro De Federicis, chitarrista di grande esperienza internazionale (solista con la Italian Big Band sin dalla sua fondazione nel 1993), ben noto per la sua grande sensibilità e versatilità, che gli consentono di spaziare dal Jazz alla musica leggera, dal pop al tango in tutta facilità.
Significativa per De Federicis la sua collaborazione, negli ultimi anni, con Milva, con la quale ha lavorato nei più importanti teatri del mondo. Come è noto, pochi grandissimi musicisti classici italiani hanno avuto il privilegio di dirigere o suonare alla Carnegie Hall, ma nessun musicista italiano era ancora riuscito a dire (suonare) la sua in Jazz nella mitica sala da concerti di New York; ebbene, i primi italiani a suonare Jazz alla Carnegie Hall saranno Marco Renzi, Bepi D’Amato e Mauro De Federicis, naturalmente con l’approvazione del Direttore Artistico (del settore Jazz), un certo signor Wynton Marsalis.

Presentazione del libro "Bitches Brew Genesi del capolavoro di Miles Davis"

Venerdì 28 Maggio alle ore 18:30 presso la Libreria Mondadori di Mirano (VE), Enrico Merlin e Veniero Rizzardi presentano il libro Bitches Brew. Genesi del capolavoro di Miles Davis.
Il libro scritto da Veniero Rizzardi e Enrico Merlin è un viaggio attraverso la “svolta elettrica” di una delle figure carismatiche della cultura del’900, attraverso ascolti guidati, aneddoti e racconti. Si tratta di un viaggio nel mondo di Miles Davis partendo da un suo album che ha segnato un epoca, un disco che è diventato il manifesto della filosofia sonora che sta dietro a tutto il movimento, punto di arrivo della sperimentazione modale e trampolino per nuove sperimentazioni sul versante dell’improvvisazione, dell’organizzazione del materiale musicale e di innovative tecniche di studio.
“The Sorcerer”, “The Prince Of Darkness”, “Dark Magus”, “Black Devil”, sino a “Il Picasso Del Jazz”, questi invece gli appellativi attribuiti a Miles Dewey Davis III (1926 – 1991), leader e catalizzatore di talenti.
Mentre si ripulivano i prati di Woodstock, Miles Davis portò in studio un’”orchestra” senza precedenti: tredici solisti con chitarre e tastiere elettriche, quattro percussionisti, un clarinetto basso, un sax soprano. Con qualche appunto sulla carta e dopo solo una serata di prove, in tre mattine si registrò un disco la cui portata storica fu subito chiara.
Fin dalla sua pubblicazione, “Bitches Brew” ridefinì il campo della musica contemporanea e influenzò intere generazioni di musicisti e di ascoltatori.
Era ancora “jazz”? Molti parlavano del capostipite di un nuovo genere musicale che fondeva le sottigliezze improvvisative del jazz con l’energia del rock. Ma la vera, inaudita novità stava nelle proporzioni, nel respiro formale di brani insolitamente estesi per venti e più minuti, frutto di un sapientissimo lavoro di postproduzione. Visionario, psichedelico, progettato come un’opera musicale innovativa e allo stesso tempo pianificato come un grande successo commerciale, “Bitches Brew” fu il risultato di una serie di esperimenti durati alcuni anni, durante i quali la visione artistica di Miles entrò in una fruttuosa tensione con gli interessi del suo editore, ma potè contare sempre sulla sottile mediazione del produttore-compositore Teo Macero. Consultando per la prima volta un corposo materiale d’archivio, e grazie all’accesso ai nastri di lavoro conservati presso la Columbia, Enrico Merlin e Veniero Rizzardi ricostruiscono la genesi dell’album.

martedì 25 maggio 2010

Una brillante improvvisazione per tre decenni in divenire

Una notevole recensione del meraviglioso album Jasmine del duo Jarrett / Haden è stata pubblicata sul sito del The Globe and Mail
Two old friends get together one night. Long ago they had worked together, first in a trio, then a quartet, but they hadn’t made music together in over three decades. Still, the guest has his bass, and the host a home studio with a funky old Steinway, so they decide to play a few numbers and see what happened.
Jasmine is the result, an album pianist Keith Jarrett describes in the liner notes as having taken three days to record, and three years to sort out. And man oh man, was it worth the effort.
Even though it didn’t start out as a social get-together – Jarrett was being interviewed for Reto Caduff’s 2009 documentary on bassist Charlie Haden (Charlie Haden: Rambling Boy) – it quickly became not just convivial but, as the best of these performances attest, an act of communion that brought out the best in two very different musical minds. Between his bright, luminous tone and effortless facility, Jarrett’s playing seems almost to sparkle, a quality that lends a lightness and felicity to his improvisations no matter how melancholy the tune. Haden’s bass, by contrast, has a dark, woody timbre that underscores the spare, deliberate character of his line.
What they have in common is an almost innate lyricism, and that’s a dominant feature of Jasmine. Also in the liner notes, Jarrett describes the jasmine as “a night-blooming flower with a beautiful fragrance,” and offers that as a model of what he and Haden tried to evoke with the eight love songs assembled here. Although some, such as Body and Soul or For All We Know, will be familiar to most jazz fans, many feel like fresh discoveries.
But that’s less a matter of forgetting the originals than being wowed by how completely Jarrett and Haden have inserted themselves into the fabric of melody. Take, for instance, One Day I’ll Fly Away, a lovelorn ballad originally recorded by Randy Crawford (and later covered by Nicole Kidman in Moulin Rouge). As the harmonies undulate from major to minor, Haden and Jarrett gradually work their way into the chord structure, developing secondary lines that so perfectly capture the sweetness of the vocal line it’s easy to forget that what they’re playing is improvised.
Even when their approach is more straight-ahead, as on Body and Soul, the playing is so vibrantly original that it’s almost a disservice to think of the songs as standards. Think instead of them as special, and hope that we don’t have to wait another 30 years for the next convergence of this wonderful duo.

Udin&Jazz 2010

Giunge alla ventesima edizione il festival Udin&Jazz, organizzato dall’Associazione Culturale Euritmica, con la collaborazione della Regione Friuli Venezia Giulia, della Provincia di Udine e del Comune di Udine, inserita nel contenitore di UdinEstate che anche quest’anno si segnala per la scelta inequivocabilmente originale dei contenuti e che in occasione di un importante compleanno si delinea quanto mai “provocatoria” nelle intenzioni e trasversale nelle proposte dei generi. Figure carismatiche e “trasgressive”, portavoci delle più diverse espressioni musicali ma anche di messaggi dalla profonda portata culturale, sociale, emotiva: questi i “ragazzacci” del mondo di Udin&Jazz 2010, che portano nel capoluogo friulano le testimonianze dei linguaggi jazz più all’avanguardia e di qualità, ma anche ampi sguardi al blues, al rock, al pop, al soul e alla musica popolare, che nella passionalità, nell’anticonformismo, nell’impegno sociale, nella volontà di partecipazione hanno il loro comune denominatore.
Come ormai nella tradizione il festival esordisce in provincia con una serie di appuntamenti itineranti che vedono protagonisti alcuni tra i migliori nomi del panorama jazz friulano: il sassofonista e compositore Nevio Zaninotto (figura di riferimento del jazz del Friuli Venezia Giulia e musicista dall’esperienza più che ventennale)- , con il suo gruppo Art Project è interprete, come spiega egli stesso, di uno stile “classico, ben fatto, basato sul brillante fluire creativo”, lontano dagli sperimentalismi, e apre la rassegna a San Giorgio di Nogaro, sabato 19 giugno, alle 21. A seguire lunedì 21 giugno a Cervignano del Friuli (ore 21) sale sul palcoscenico il Juri Dal Dan Trio: protagonista dal 2002 di svariati festival e alla sua terza incisione discografica, qui la formazione si presenta con un ospite d’eccezione, il batterista romano Massimo Manzi, già collaboratore, tra gli altri, di solisti del calibro di Metheny, Wheeler, Fresu, Urbani, Rava, …
Conclude la sezione itinerante il progetto “Secret Stories” del Maurizio Pagnutti Jazz 6et a Tricesimo, martedì 22 giugno, alle 21: un gruppo recente, dal grande impatto sanguigno, elevata precisione tecnica e un misto di sensibilità jazz, vitalità funky, energia blues e innata istintività.
Il festival approda nel centro di Udine mercoledì 23 giugno: le strade e i luoghi d’incontro del capoluogo friulano vivono di musica e di cultura in ogni loro angolo (molte le iniziative musicali e culturali che arricchiscono le giornate udinesi) e gli appuntamenti con le performance musicali (tre concerti al giorno, a partire dalle ore 18) sono anticipati dagli Incontri Jazz, curati dal critico Neri Pollastri, dove il pubblico avrà la possibilità di incontrarsi, parlare, confrontarsi con i protagonisti del festival: primo degli incontri in programma, quello con il clarinettista e saxofonista udinese Daniele D’Agaro, il 23 giugno alle 16, nella Chiesa di San Francesco, nuova suggestiva location del festival, dove il musicista presenta anche alcuni video raccolti nei suoi tour americani.
Beat Spirit è il progetto di Francesco Bearzatti (sax/clarinetto) e Claudio Cojaniz (pianoforte) che apre la serie dei concerti nella prima giornata udinese, nella Corte di Palazzo Morpurgo alle 18: l’operazione sonora del friulanissimo duo delinea il suo spirito, anche grazie alle incursioni pittoriche improvvisate on-stage da Roberto Taverna. Segue nella Chiesa di San Francesco, alle 19.30 il D’Andrea Three: Franco D’Andrea al pianoforte, Daniele D’Agaro (udinese al top dei referendum tra i sax italiani) al clarinetto e Mauro Ottolini al trombone, tre veri mattatori del palcoscenico, propongono una set intenso che attraversa tre generazioni.
Chiude la prima giornata udinese la performance della statunitense Dana Fuchs (sempre il 23 giugno al Teatro San Giorgio, alle 22) con la sua band. Una voce sanguigna e travolgente per la sua potenza, una presenza scenica totalizzante, vibranti le influenze soul, rock e blues della sua musica: Dana Fuchs è un’artista dal talento eccezionale e poliedrico (celebre il ruolo di Janis Joplin interpretato in “Love, Janis” e di Sadie in “Across the Universe”): lei stessa definisce le sue canzoni caratterizzate da una “vibrazione soul e rock… ma con un tocco di realismo”.
Giovedì 24 giugno il festival prosegue con i Mocambo Swing che presentano, nella Corte di Palazzo Morpurgo alle 18 il lavoro discografico “La Bela Vie”, accompagnati dalle incursioni pittoriche di Massimiliano Gosparini. Uno stile che fa dell’eterogeneità la propria forza, quello dei Mocambo Swing, che mescolano con ironia il mondo verace della musica gypsy con quello intellettuale del jazz. Di grande impatto per la loro visionarietà e bellezza le illustrazioni “live” dell’artista udinese Massimiliano Gosparini. I Presi per caso proseguono la giornata in Piazza Matteotti alle 19.30: una band fondata nel 2004 per volontà di alcuni ex detenuti che, scontata la pena, decidono di fare da trait d’union fra la società “dei liberi” e quella delle carceri, sensibilizzando l’esterno al problema della vita in prigione e portando all’interno delle mura solidarietà e spiragli di vita esterna. Un appuntamento inusuale conclude la giornata: “Il mio mitra è un contrabbasso” è il titolo della serata tributo a Demetrio Stratos (alle 22 nella Chiesa di San Francesco). All’inizio è previsto un incontro, a cura di Neri Pollastri, che vede la partecipazione di Patrizio Fariselli e Paolo Tofani degli Area, Daniela Ronconi Demetriou (moglie del cantante) e Luciano D’Onofrio e Monica Affatato, autori del documentario “La Voce Stratos”, che viene proiettato a conclusione dell’incontro. Pubblicato nel 2009 con molte testimonianze inedite, “La Voce Stratos” è un video che, oltre a rappresentare l’importanza della rivoluzione vocale imposta dalle tecniche arcaiche di Demetrio Stratos, e il suo imprescindibile messaggio verso la ricerca e la sperimentazione, il suo anelito verso il nuovo, il suo rifiuto di tutte le imposizioni dogmatiche, ritrae su diversi piani le inquietudini politiche e sociali del movimento degli anni Settanta e la realtà culturale a partire dalla fine dei Sessanta.
Venerdì 25 giugno continua il tributo alla storia musicale degli anni Settanta con l’incontro, nella Chiesa di San Francesco, alle 16, con Patrizio Fariselli, Ares Tavolazzi e Paolo Tofani, protagonisti dell’Area Reunion, al centro del grande concerto finale della serata.
Nel pomeriggio (ore 18, Corte Palazzo Morpurgo) va in scena il progetto di Salvatore Russo e il suo Gypsy Jazz Trio. Al suo terzo disco come chitarra solista, l’ultimo cd in ensemble, del 2009, inciso con Speciale e con Stochelo Rosenberg è dedicato al gipsy jazz (il titolo è “La touche manouche”), che trae origine dall’esperienza artistica di Django Reinhard e mescola gli influssi dell’antica tradizione zingara Manouche e il jazz americano.
Gradito ritorno è quello di Zlatko Kaucic (che segue, alle 19.30, in piazza Matteotti), percussionista di livello mondiale sulla scena del jazz d’avanguardia che, dopo la spettacolare performance con Saadet Turkoz e Giovanni Maier per Udin&Jazz 2009, propone quest’anno il suo Zlatko Kaucic Kombo, un ensemble di giovani musicisti sloveni che da sei anni suonano assieme un repertorio di brani composti dallo stesso Kaucic . La serata si conclude al Teatro San Giorgio, alle 22, con un omaggio alla grande storia della musica italiana, una scelta coraggiosa che vede riunirsi i mitici Area, la band che negli anni Settanta ha rivoluzionato il rock italiano. Protagonisti dell’Area Reunion sono Patrizio Fariselli al pianoforte, Ares Tavolazzi al contrabbasso e Paolo Tofani alle chitarre ed effetti elettronici; a loro si unisce il batterista friulano U.T. Ghandi. Il contributo della band alla storia del rock – da “Caution Radiation Area” a “Are(a)zione” a “Maledetti (Maudits)” – e alla ricerca dei più provocatori accostamenti (c’è davvero ogni tipo di espressione negli esperimenti degli Area, dal pop al progressive, dal jazz alla world music in embrione), non è solamente una rivoluzione formale degli stilemi musicali, l’imposizione di una nuova avanguardia, ma anche un nuovo modo di sperimentare i contenuti delle canzoni, la volontà di esprimere un messaggio reale e una presa di posizione dal forte impatto sociale e politico che rivive oggi con la stessa forza e attualità di allora.
L’ultimo giorno (sabato 26 giugno) che anima il centro cittadino, prima del gran finale atteso sul piazzale del Castello, esordisce con un’esperienza speciale: alle ore 16, nella Chiesa di San Francesco, Pino Saulo, giornalista e critico di Rai Radio 3, intervista il grande James Blood Ulmer, protagonista del concerto finale della serata. Accanto a lui, ad “interpretare” l’intervista, Antonia Tessitore: l’incontro – naturalmente aperto al pubblico – verrà registrato e mandato in onda all’interno di Battiti, trasmissione del palinsesto di Rai Radio 3.
Alle 18, a Corte Palazzo Morpurgo, si prosegue con il Massimo De Mattia Mikiri Quartet. De Mattia è compositore e sperimentatore e le sue opere discografiche suggeriscono spesso riferimenti extra-musicali (Schiele, Artaud, Bataille, Genet, Giacometti, Pasolini…); con oltre quindici dischi all’attivo, De Mattia è un artista versatile e si presenta a Udine alla guida di una band di ottimi musicisti friulani.
Alle 21, al Teatro San Giorgio, il sorprendente L’Apertura 2010, spettacolo a metà strada tra reading e concerto, della “ragazzaccia” Nada, qui assieme al fondatore di una delle band più significative nella storia del rock italiano, i CCCP, Massimo Zamboni. In scaletta, brani di entrambi i repertori solisti con alcune perle dei CCCP cantate dalla magica voce della Signora Malanima. Sul palco ci saranno anche Simone Filippi e Luca Rossi degli Ustmamò.
Un commiato emozionante ci porta infine alla Chiesa di San Francesco , alle 23, con un’icona del jazz mondiale, in esclusiva nazionale: James “Blood” Ulmer, “un incrocio tra Jimi Hendrix, Bob Dylan e Mike Bloomfield”, come è stato definito, che porta a Udine l’ultimo dei suoi lavori discografici, un’appassionata e sofferente testimonianza della New Orleans travolta dall’uragano Katrina.“Bad blood in the city. The piety street sessions” (questo il titolo del cd) è datato 2007, quasi tre anni dopo il dramma di Katrina, ma non è un caso: “è stato più importante registrare questa musica più tardi piuttosto che subito dopo l’uragano. Quando i media non erano più concentrarti sull’evento, è allora che la tragedia è cominciata a scivolare via dalla memoria: ma non dobbiamo dimenticare. Parlarne è una piccola strategia per evitare che il ricordo cada nel buio”. Queste canzoni sono l’essenza del blues: politicamente “scorrette” per precisa volontà, tristi e ossessive, toccano problematiche esistenziali e rappresentano le contraddizioni e le complicazioni dell’America, che Blood affronta con passione e struggimento nella sua musica sin dall’inizio della sua carriera.
E si rinnova la tradizione di un ultimo, cruciale appuntamento presso il Castello di Udine, distaccato dal calendario quotidiano del festival e atteso come una grande festa finale: per l’edizione 2010 protagonista del “cameo” conclusivo della manifestazione (il primo luglio alle 21.30) è il fascino di Malika Ayane, “dalla voce arancione scuro che sa di spezia amara e rara” (così ne parla Paolo Conte): dopo aver conquistato pubblico e critica nel 2009 con il suo album d’esordio e il conseguente tour con più di 30 date in tutta Italia, Malika Ayane porta dal vivo il suo nuovo album “Grovigli” (uscito su etichetta “Sugar” il 19 febbraio) in uno spettacolo affascinante in cui alterna i nuovi brani ai già numerosi successi come “Feeling better”, “Sospesa” e “Come foglie”. Con il brano “Ricomincio da qui”, che vede la collaborazione di Malika Ayane con Pacifico sulle musiche scritte da Ferdinando Arnò, l’artista ha vinto quest’anno il Premio della Critica intitolato a Mia Martini e attribuito in base ai voti delle testate accreditate al Festival di Sanremo. A Udine con Malika Ayane una band dal grande interplay: Giulia Monti al violoncello, Stefano Brandoni alla chitarra, Marco Mariniello al basso, Carlo Gaudiello alle tastiere e Phil Mer alla batteria.
Arricchiscono la manifestazione, da mercoledì 23 a sabato 26, alla Chiesa di San Francesco (tutti i giorni dalle 15.30 alle 23.00) un’interessante mostra fotografica che ripercorre i più bei momenti legati al festival, dal titolo “VENT’ANNI DI UDIN&JAZZ”, con una selezione degli scatti più significativi ed emozionanti di Luca d’Agostino/Phocus Agency e gli Aperitivi Jazz, ogni giorno alle 12.00, all’Osteria Alla Ghiacciaia.
Inoltre, visto il successo ottenuto nella sua prima edizione, si ripropone il Workshop “Cantare Interpretare Emozionare”, con la direzione artisca di Barbara Errico (da venerdì 25 a domenica 27 – Università degli Studi, Sala Florio – Palazzo Florio)

Atina Jazz Festival 2010

Si è svolta ieri a Cassino la conferenza stampa di presentazione della XXV edizione dell'Atina Jazz Festival.
Le aspettative legate all'edizione di quest'anno sono molto alte e guidate da un rinnovato spirito di entusiasmo riscontrabile dal successo delle ultime tre edizioni. Qualità, Sperimentazione e Sinergia con il territorio sono le parole chiave che guidano il lavoro della direzione del Festival e che sono alla base delle scelte artistiche, organizzative e logistiche.
In tutte le sue forme, partendo dal livello degli artisti, mai così grandi nomi sono stati concentrati tutti insieme ad Atina in una stessa edizione. A questa qualità contribuiscono poi iniziative collaterali come il concorso fotografico o la sezione “momenti di jazz” o le masterclass e i seminari, fino alla collaborazione con Radio1 Rai e con Palco Reale per il concorso DEMO Jazz Award e per lo spettacolo “Storie di Piazza”.
A proposito proprio di sperimentazione, importante sarà questo incontro tra il jazz e il teatro d’improvvisazione, previsto per il 21 luglio, che troverà espressione proprio nello spettacolo già citato prima, organizzato da Radio 1 Rai e nel quale musicisti, attori, pubblico, interagiranno tra loro inventando una vera e propria storia. Radio 1 trasmetterà poi lo spettacolo il 1° agosto.
Grande novità dell’edizione 2010 sarà, come già accennato, il concorso DEMO JAZZ AWARD, ideato in collaborazione con Radio 1 Rai ed in particolare con la trasmissione acchiappatalenti DEMO condotta da Micheal Pergolani e Renato Marengo. Gli storici autori e conduttori saranno presenti in conferenza stampa e faranno il punto della situazione sulle iscrizioni a questa nuova sezione dedicata ai giovani talenti, grazie alla quale una formazione con un progetto jazz inedito potrà aggiudicarsi un sogno: quello di vincere un tour in Nord America, tra Stati Uniti e Canada con la possibilità di esibirsi in importanti Festival e Jazz Club (Toronto, Rochester, Cleveland). Saranno 15 i gruppi che previsti per le finali del DEMO JAZZ AWARD, che si svolgeranno dal 28 al 31 luglio presso la Villa Comunale di Cassino nell’ambito della II edizione di Cassino Jazz. Sarà presente in conferenza stampa per un saluto ed un riferimento al villaggio DEMO che si allestirà appositamente proprio in quei giorni, il Direttore Eventi SIAE Filippo Gasparro.
Nel cuore di Atina Jazz, dal 21 al 25 luglio, i momenti topici saranno rappresentati dal concerto di Ornette Coleman e dal concerto evento ECM, realizzato in esclusiva il Festival. Entrambi hanno il sapore di qualcosa che va al di là delle gabbie tradizionali della musica e dei live che siamo abituati forse ad ascoltare nei festival jazz italiani.
Il progetto “Two Bass Quartet” di Coleman (24 luglio) per chi non avesse mai avuto il piacere di ascoltarlo dal vivo, rappresenta un’esperienza al di fuori dei confini musicali, in cui il concetto di musica “free” dell’ottantenne sassofonista americano trova la sua più alta espressione.
Il concerto evento ECM del prossimo 25 luglio invece, sarà dedicato alle musiche di un altro grande della musica internazionale: Dino Saluzzi, che quest’anno celebra i suoi 75 anni e che, sotto l’impulso creativo di Manfred Eicher, ha voluto con sé per questo appuntamento unico, altri sei musicisti da tutta Europa, espressione anche loro dell’etichetta tedesca e con i quali nel corso della sua lunga carriera artistica si è trovato a collaborare.
Sarà la prima volta che i sette artisti si troveranno insieme su un palco in un concerto dal vivo per sperimentare, appunto, nuove sonorità e sondare i limiti della musica jazz, contemporanea e popolare.
Altro importante evento è il concerto del 22 luglio, con il concerto di Dee Dee Bridgewater che presenterà il suo ultimo progetto To Billie With Love: A Celebration of Lady Day.
Ormai Atina Jazz è davvero diventato un marchio riconoscibile a livello nazionale ed internazionale, tanto da assumere anche un ruolo di “consulente” dell’aspetto musicale delle varie manifestazioni culturali dell’intera Provincia.
Questa sinergia non si limita solo al nostro territorio provinciale ma va al di là dei confini addirittura nazionali, attraverso le collaborazioni ormai instaurate tra Atina Jazz e il Canada e gli Stati Uniti, in particolare con prestigiosi College come l’Humber School di Toronto e festival internazionali come il Rochester Jazz Festival (NY). A testimoniare tutto questo, la presenza di musicisti canadesi durante la prossima edizione, protagonisti sia di concerti che di seminari didattici.
Inoltre, grazie anche alla disponibilità della nuova e suggestiva cornice del cortile di Palazzo Ducale di Atina, il programma di Atina Jazz sarà arricchito sempre di più da numerosi e affascinanti “incontri in jazz”, dove musica e sapori del territorio si fonderanno per ricevere al meglio gli amici di Atina Jazz Festival.
I concerti lasceranno il posto a degustazioni enogastronomiche in cui le eccellenze del territorio saranno protagoniste per fondersi in un cuore pulsante di musica, creatività ed innovazione che darà vita ad un mese di grande jazz itinerante, nel segno di quella che sarà un’edizione unica della storia dei 25 anni di Atina Jazz.
Per informazioni www.atinajazz.com

lunedì 24 maggio 2010

I concerti della settimana

Martedì 25/05/2010
ore 19,00
BOBBY MCFERRIN (link)

ore 21,00
ROSWELL RUDD & ARCHIE SHEPP - NYC - 2000 (link)

ore 22,00
STEVE LACY / ULRICH GOMPERT / MISHA MENGELBERG Live 1996 (link)

ore 22,40
RAY ANDERSON POCKET BRASS BAND ec direct au studio 15 de la RSR à Lausanne (link)

Mercoledì 26/05/2010
ore 12,30
CLAUDIA QUINTET med JOHN HOLLENBECK 4/7/2009, Jazzbaltica, Salzau (link)

Giovedì 27/05/2010
ore 20,05
MUSIKTRIENNALE KÖLN 2010 - 14. Mai 2010 aus dem Kölner Funkhaus
Guus Janssen Hollywood O.K. Pieces / Cyro Baptista & Banquet of the Spirits / Henry Threadgill & Zooid / Evan Parker Electro-Acoustic Ensemble (link)

ore 21,00
GEORGE LEWIS Conducts PMJO - "A Power Stronger Than Itself" in diretta dal Parco della Musica in Roma (link)

ore 21,00
RHODA SCOTT en direct de Roland Garros (link)

Venerdì 28/05/2010
ore 21,00
MUSICA PER ROMA: Il jazz in Italia. Dallo Swing agli anni Sessanta (link)

ore 21,00
MARIAN PETRESCU "Thrivin" - Live at Jazz Standard (link)

ore 22,02
BEN ALLISON QUARTET 11-7-2008 in het Bimhuis in Amsterdam (link)

ore 22,30
JIM HALL TRIO am Jazz Festival Basel 2010 (link)

ore 22,40
MICHAEL BRECKER with HARALD HAERTER GROUP - Willisau 1997 (link)

Sabato 29/05/2010
ore 2,00
SHEILA JORDAN Lisbon Hot Club 8/10/2008 (link)

ore 19,05
Montreux Jazz Festival, Juli 2009
GEORGE DUKE TRIO with special guest CHAKA KHAN;
MCCOY TYNER TRIO with guest performances of BILL FRISELL & GARY BARTZ (link)

Domenica 30/05/2010
ore 0,00
NDR BIG BAND, dirigé par MARIA SCHNEIDER Enregistré le 4 juillet 2009 à Salzau (Allemagne) (link)

ore 0,00
JACK DEJOHNETTE "Jazz Goes to Town" Festival 2009 Hradec Králové, Rep. Ceca - 16 ottobre 2009 (link)

ore 20,30
- TONI ALLEN OCTET
- ALICE RUSSELL
Fuego! XII. Festival di cultura e musica jazz di Chiasso (4-6 febbraio 2010) (link)

Mosaic Records pubblicherà un box set di registrazioni private di Sam Rivers

Mosaic Records, etichetta celebre per aver pubblicato numerosi box-set storicamente significativi nel corso degli ultimi 27 anni, pubblicherà il prossimo novembre una raccolta di Sam Rivers. La musica è tratta da registrazioni private che Rivers effettuò nel Rivbea Studio in un loft di New York durante gli anni '70.
Rivers ha annunciato la nuova release durante un concerto e la notizia fu confermata dal produttore della Mosaic, Michael Cuscuna. E' particolarmente adatto per Cuscuna e Mosaic essere coinvolti in questo progetto, in quanto lo stesso Cuscuna produsse la sessions che ci ha lasciato uno dei migliori documenti della scena dei jazz-loft newyorkesi degli anni '70, Wildflowers, che fu pure registrato presso il Rivbea Studio.

Ecco un video del quartetto di Sam Rivers che presenta Beatrice

Pescara Jazz 2010

Star internazionali, giovani talenti, una ventata di tradizione manouche: Pescara Jazz 2010 è una rassegna di sonorità fresche, trascinanti, raffinate. L’idea di canzone e repertorio attraversa tutto il programma.
Canzoni sono quelle suonate e soprattutto cantate da Diana Krall, erede dell’arte pianistica e canora di Nat King Cole. Con la sua voce vellutata e il pianismo incisivo ed elegante, la Krall si è da tempo imposta in uno stile che è a cavallo tra la grande tradizione della canzone americana e il jazz. Artista misurata, in realtà la Krall esprime una grande energia e determinazione, con il suo pianismo vivace che è il perfetto contraltare al canto sobrio e asciutto.
Non meno essenziale è l’approccio di Virginie Teychené, la nuova rivelazione della vocalità francese: interessata a qualsiasi forma di canto e influenzata dal fraseggio di Miles Davis e Sonny Rollins, la Teychené si esprime con uno stile jazz molto classico, controllato, ma con una peculiare dose di gioconda esuberanza che si manifesta anche in scelte di repertorio e arrangiamenti non scontati.
D’altra parte un repertorio si consolida quando le composizioni e le canzoni offrono una costante fonte di ispirazione agli artisti di generazioni diverse. Il gruppo di Enrico Rava che suona Gershwin ne è un esempio felice. Esso segna l’incontro tra generazioni diverse: da infallibile talent scout quale è, Rava si circonda di alcuni dei più brillanti giovani musicisti della scena italiana e con gli arrangiamenti di Dan Kinzelman affronta una serie di classici firmati Gershwin, ovvero quell’artista unico che, a confine tra jazz, musica classica e canzone, ha abbattuto prima di chiunque altro i confini tra i generi nel Novecento. Il songbook, la raccolta di “canzoni”, è nel jazz un concetto molto allargato: possono essere le canzoni di Gershwin, appunto, oppure un repertorio di pezzi, non necessariamente canzoni in senso stretto, identificati nel loro insieme da una qualche caratteristica comune.
È questo il songbook di Pat Metheny, che durante una ormai lunga carriera ha consolidato una collezione di composizioni di successo, di brani che ne hanno plasmato lo stile e la fama, che associamo al suo suono inconfondibile. D’altra parte per Metheny non è errato parlare di song, canzoni, se pensiamo alla cantabilità del suo stile, alla qualità vocale del timbro chitarristico, all’influenza della cultura popolare americana, in particolare rurale, sul suo stile maturo.
In tempi recenti, inaspettatamente, anche la musica di Django Reinhardt è diventata repertorio. Si tratta di un fenomeno curioso e affascinante: Reinhardt è stato il primo e probabilmente il più grande dei jazzisti emersi in Europa. Negli anni Trenta e Quaranta egli è diventato il simbolo di un jazz non necessariamente legato agli Stati Uniti, ma capace di esprimere i valori di una cultura diversa. Fondendo swing, musica manouche e valse musette, Reinhardt ha forgiato uno stile chitarristico e improvvisativo rimasto unico, a cui ha dato un contributo essenziale il violinista Stephane Grappelli. Dopo decenni di relativo oblio, a partire dagli anni Novanta lo stile di Reinhardt e Grappelli è diventato protagonista di un revival internazionale, che ha prodotto uno stuolo di formidabili talenti, spesso legati a intere famiglie, come il Rosemberg Trio, che qui incontra Bireli Lagrene, uno dei veterani del jazz manouche. Il gruppo del violinista Florin Niculescu, con il chitarrista Sanson Schmitt, si unirà invece all’Orchestra Sinfonica di Pescara in una singolare mescolanza di improvvisazioni gitane e suoni classici: un incontro di suoni e culture che sarebbe piaciuto allo spirito avventuroso di Django Reinhardt.
Per informazioni: www.pescarajazz.com

Bari In Jazz 2010

Notizia tratta dal sito http://puglialive.net
Dal 22 al 25 giugno prossimi Bari si vestirà di jazz: saranno quattro giorni di intensa attività musicale nelle chiese, nelle piazze della città vecchia nonchè nella cornice ancor più suggestiva del castello Svevo. Il festival è così stato concepito e voluto dal direttore artistico Roberto Ottaviano e da quello organizzativo, Koblan del centro interculturale Abusuan.
La conferenza stampa di presentazione, per la verità molto affollata, si è svolta in maniera singolare su un bus turistico a due piani, che ha scarrozzato i giornalisti in giro per la città, accompagnati dalle note della tromba di Alfredo Sette. E’ stato un modo diverso di approccio, simpatico e divertente, ma che aveva un preciso scopo: era il segnale esplicito che la manifestazione vuole coniugare musica e turismo, un binomio possibile e già collaudato con successo in altri territori.
Essere arrivati alla sesta edizione con una formula che si è rivelata vincente, pone serie garanzie nel tempo e consente di programmare e progettare il futuro. D’altro canto, come ha sottolineato il maestro Ottaviano, il festival vuole creare continuità con i festival di Noci (che organizzava Vittorino Curci) e di Ruvo (il “Talos Festival” di Pino Minafra). Le premesse per andare avanti ci sono tutte, grazie alla sinergia di pubblico e privato nel sostenere la manifestazione. Ma molto interessante sembra essere anche la linea tematica che si vuole seguire indagando il rapporto fra jazz, comunicazione e mass media.
Il jazz, come è noto, è l’erede diretto e più autentico del blues, e il blues connotava tutta una generazione di neri d’Africa deportati nelle Americhe. Ma cosa è rimasto oggi del dolore che esprimevano il blues e il jazz e in quale modo i mass media hanno manipolato la natura di quella musica sconvolgendola e snaturandola? Sicuramente oggi per molti il jazz non è più rappresentativo di quello per cui è nato: per questo bisogna salvarlo per quanto possibile, dalle fameliche leggi di mercato e consumo.
Da parte sua l’Assessore al Mediterraneo, Silvia Godelli, ha sottolineato che il jazz è destinato a lunga vita, e pertanto è fondamentale costruire intorno ad esso opportunità di lavoro che investano la cultura, il turismo, il mondo imprenditoriale. C’è molta attenzione da parte dell’Amministrazione Regionale, e interesse a fare di questo Festival una calamita che coinvolga altri settori di economia.
Il programma è piuttosto nutrito e articolato con ben quattro concerti al giorno.
Si comincia il 22 giugno con un solo al contrabbasso di Giorgio Vendola, seguito al Castello da un quartetto con Ottaviano e dal gruppo dell’emergente bassista israeliano Avishai Cohen; il 23 tocca a Pippo D’Ambrosio il solo di percussioni, poi i gruppi del batterista Fabio Accardi e il trio del vocalist brasiliano Ivan Lins; il 24 giugno spazio alle fisarmoniche di Del Re e Abbracciante per spostarsi poi al Castello alla corte del trio di Vito Di Modugno e del grande bassista Miroslav Vitous. Si chiude in bellezza il 25: ancora fisarmonica con il trio di Livio Minafra; quindi Spajazzy del pianista Frank Wilkins e il quartetto di Francesco Bearzatti. Il Jazz Combo di Nicola Conte con la consueta classe metterà la parola fine alla rassegna in Piazza del Ferrarese. Nella stessa piazza però nei giorni precedenti sarà già transitata altra buona musica ogni sera dalle 23 in poi: i Funk Off, la Improbabilband e la Bandadriatics.
L’abbonamento a tutta la manifestazione è stato fissato a 40 euro per sedici concerti. A conti fatti si tratta di una cifra irrisoria.
Ci si aspetta un grande consenso di pubblico. Quello della critica c’è già!
Per informazioni: www.bariinjazz.it

Spring Jazz Festival a Genova

Venerdì 28 maggio partirà lo Spring Jazz Festival organizzato da Borgoclub, in collaborazione con il Teatro della Gioventù di Genova, una rassegna che presenterà tre serate di grandi concerti.
L’Adventure Trio che aprirà lo Spring Jazz Festival 2010 il prossimo venerdì 28 maggio, vede Aldo Romano alle batterie, Alessio Menconi alla chitarra e Luca Mannutza all’organo hammond. Un progetto nuovissimo con un organico storico. Questa formazione non può non ricordare gli storici gruppi di Wes Montgomery, George Benson, Kenny Burrell. Tuttavia pur avendo una base radicata nella tradizione, ed in particolare in questi musicisti e nel bop, il trio suona in modo estremamente creativo e fuori da qualunque genere di cliché e definizione stilistica.
Si prosegue giovedì 17 giugno con il Quintetto Blue of Genoa formato da Giampaolo Casati (tromba), Stefano Guazzo (sax), Riccardo Zegna (pianoforte), Rob Lopez (batteria e percussioni), Alberto Malnati (contrabbasso). Formazione ligure doc quasi al 100%. Di Guazzo si può dire che sappia rievocare atmosfere alla Don Byas e alla Luky Thomson: ogni suo concerto si trasforma in un’occasione per nuove suggestive ambientazioni sonore che si intrecciano con le armonie di Riccardo Zegna. Il valente pianista compositore savonese, sa coniugare con esiti brillanti l’arte dell’intrattenimento con l’invito alla riflessione. Giampaolo Casati è uno dei maggiori talenti musicali a livello internazionale che offre la piazza genovese. Diplomato al Conservatorio “N. Paganini” di Genova, da diversi anni svolge attività concertistica, didattica e di arrangiatore in piccoli gruppi e Big Band. Alla sezione ritmica Alberto Malnati e Rob Lopez. Entrambi suonano con i più grandi. Alberto Malnati ha svolto un’intensa attività di side man al fianco di un gran numero di musicisti ed è uno dei contrabbassisti più solidi ed esperti della sua generazione. Rob Lopez passa con disinvoltura dal jazz al pop. E’ stato insegnante di Percussioni presso l’Harlem School of Music di New York e percussionista stabile dell’orchestra del Blue Note di New York. E’ stato in tour con Tito Puente, con il batterista jazz Walter Perkins, con Camille Gainer-Kool & the Gang e Stewart Copeland – Police e successivamente al suo trasferimento in Italia (1987) con il gruppo di Tullio De Piscopo, con i “Ladri di biciclette” per il tour Doctor jazz e Mr Funk, con Giorgia, con Irene Grandi e in tour europeo con Zucchero Fornaciari. Ha suonato in qualità di special guest con la “Brandford Marsalis Quintet” e la “Kenny Kirkland Quartet” a Umbria Jazz.
La rassegna si chiuderà martedì 22 giugno con Jesse Davis al sax e Dado Moroni al pianoforte. Quest’ultimo, anche se non ha bisogno di presentazioni, è uno dei pianisti jazz italiani più richiesti al mondo. Dopo aver debuttato a soli 17 anni con Tullio de Piscopo e Franco Ambrosetti, nel 1987 viene chiamato, unico europeo, insieme ai pianisti Hank Jones, Barry Harris e Roland Hanna, a far parte della giuria del premio internazionale pianistico Thelonious Monk, svoltosi a Washington. Nel 1988 effettua una importante tournèe in sette paesi africani con il sestetto di Alvin Queen per conto del Dipartimento di Stato americano. Collabora quindi con Clark Terry e George Robert alla tournèe mondiale organizzata dal governo svizzero per la celebrazione del settecententenario della Confederazione Elvetica. Oltre alla sua importante esperienza live, vanta oltre 50 incisioni per importanti etichette discografiche quali Sony Concorde, Contemporary Telarc Mons,TCB Record, Enja e America Concorde.
Dado Moroni porterà sul palco del Teatro della Gioventù Jesse Davis, che con 6 dischi all’attivo è uno dei leoni del jazz provenienti da New Orleans, dove è nato nel 1965. Davis segue la tradizione della famiglia Marsalis e ha mostrato segni di grande talento musicale fin dall’età di undici anni. Ha vinto premi come solista in diversi Jazz Festival, tra cui Notre Dame, Wichita di Stato, presso la New York University e la Loyola University. Nel 1989 ha vinto il prestigioso “Musicista più” presso Down Beat Music Fest a Filadelfia. La sua musica è stata descritta come “neo-bop”, con una naturale sensibilità per il blues.

mercoledì 19 maggio 2010

Stanley Jordan The Blue Note Concert

Questo è il video di un concerto dello straordinario chitarrista Stanley Jordan, ripreso live al Manhattan Center Studios il 21 marzo 1989.
La registrazione è suddivisa in tre parti, una prima parte acustica con una formazione con Kenny Kirkland: piano, Charnett Moffett: basso e Jeff Watts: drums; una parte in solo ed una parte elettrica con una formazione composta da Bernard Wright: tastiere, Yossi Fine: basso, J.T. Lewis: batteria.
Per vedere questo eccezionale documento visitate questo link.

Trilok Gurtu Band a Cormons

Sabato 22 maggio, al Teatro Comunale di Cormons alle ore 21.00, concerto della Trilok Gurtu Band
La musica del percussionista e vocalista indiano Trilok Gurtu è un ponte ideale fra la cultura orientale e quella occidentale, il cui collante è rappresentato da un’originale concezione ritmica con le radici ben salde nelle tradizioni dell’India e ramificazioni che inglobano elementi africani e jazzistici.
La sua carriera inizia negli anni '70 con un fuoriclasse del free jazz come il trombettista Don Cherry, poi lo troviamo al fianco di Ralph Towner con gli Oregon, del sassofonista Jan Garbarek ed infine entra stabilmente nella Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin. Negli anni '90 diventa ormai un imprescindibile riferimento per gli amanti della world music, ma strizza continuamente l'occhio anche al jazz ed al pop grazie anche alle collaborazioni con artisti come Joe Zawinul, Bill Laswell, Pharoah Sanders, Pat Metheny, Gilberto Gil ed il nostro Ivano Fossati.
Con la sua band presenterà l'ultimo album Massical, da lui stesso prodotto con il compositore e violinista Carlo Cantini.
La formazione è composta da Trilok Gurtu: percussioni, voce; Carlo Cantini: violino, tastiere, melodica; Andy Suzuki: sax, flauto, tastiere; Johann Berby: basso; Roland Cabezas: chitarra
Per informazioni: www.controtempo.org

Ed ecco uno splendido video della band che presenta Broken Rhythms, a Sines (Portogallo) nel 2007.

Bennie Maupin alla Casa del jazz

Questa sera alle ore 21, alla Casa del jazz di Roma, in collaborazione con l’Istituto polacco, il concerto di una leggenda del jazz, Bennie Maupin con il suo gruppo. Maupin ha suonato con grandi musicisti come Roy Haynes, Mccoy Tyner, Horace Silver, Herbie Hancock. Ha suonato con Miles Davis, registrando con lui un capolavoro come “Bitches Brew”.
Bennie Maupin, leggenda del Jazz, allievo di Coltrane, ha iniziato la sua carriera con lo studio del sassofono per poi approfondire, grazie a Larry Teal, quello del flauto, trasferendo su quest’ultimo strumento alcuni aspetti della tecnica del sax. La sua esperienza come clarinettista è iniziata nel '65, quando si è trasferito dalla California a New York dove ha iniziato a lavorare con giganti del Jazz tra cui Roy Haynes, Horace Silver, Pharoah Saunders, Freddie Hubbard, Jack DeJohnette, Andrew Hill, Eddie Henderson, Woody Shaw, Lee Morgan, McCoy Tyner e Marion Brown. Ha preso parte all’incisione degli album “Bitches Brew”, “Jack Johnson” e “On the Corner” di Miles Davis. Ha collaborato con Herbie Hancock facendo parte dei “Headhunters” e del sestetto “Mwandishi”.
Come solista Maupin ha registrato nel corso della sua carriera diversi album, tra cui “Jewel in the Lotus” nel 1974, “Slow Traffic Move Right” nel 1976, “Moonscapes” nel 1978, e “Drivind While Black” nel 1998.
A partire dagli anni '60 Maupin ha frequentato assiduamente la Polonia dove ha avviato una serie di collaborazioni con diversi musicisti. Ha inciso con il chitarrista Jaros³aw Œmietana il cd di grande successo “A story of Polish Jazz”.
Gli amici polacchi hanno fatto conoscere a Maupin la città di Zakopane, ai piedi dei monti Tatra. Lì il musicista americano ha scoperto il mondo del folclore polacco e la musica di Karol Szymanowski. Ha anche avuto modo di incontrare eccellenti musicisti (Jan Karpiel Bulecka, Hania Chowaniec Rybka e altri) e ha realizzato con loro il progetto delle variazioni jazz ispirate alla musica di Szymanowski e a quella popolare dei Tatra. Il bassista polacco Darek “Oles” Oleszkiewicz è stato invitato, insieme al batterista Michael Stephans e al percussionista Munyungo Jackson, al progetto “The Bennie Maupin Ensemble” che ha portato all'incisione del cd “Penumbra” (2006).
The Bennie Maupin Group è composto da Bennie Maupin flauto, clarinetto basso, sax tenore & soprano, Hania Chowaniec-Rybka voce, Michal Tokaj pianoforte, Michal Baranski contrabbasso, Lukasz Zyta batteria, percussioni

Ed ecco un video live del quartetto di Bennie Maupin

George Benson

Il noto giornalista musicale Ernesto Assante ha pubblicato sul suo blog Media-Trek un bel post dedicato al chitarrista George Benson:
C’è una bellissima definizione di George Benson, coniata da Ken Burns, uno dei grandi storici del jazz americano: “Se nel jazz esiste qualcuno che ha fatto quello che hanno fatto i Beatles nel pop, questo è George Benson”. E Burns ha sicuramente ragione, perché George Benson, da Pittsburg, Pensylvania, non è soltanto uno dei più grandi chitarristi della storia del jazz, ma un musicista fondamentale nel divulgare il linguaggio della musica afroamericana, fondendolo con classe e maestria inarrivabili, con il pop, il rock e la grande canzone, creando un inconfondibile “Benson Style”, che in molti hanno cercato di imitare. E’ sbagliato, come fanno in molti, definire lo stile di Benson “smooth jazz”, jazz morbido e vellutato, perché l’aggettivo tende a sminuirne l’efficacia e la forza, che invece nella musica del chitarrista americano sono determinanti.
L’esordio di Benson è tutto nel jazz, nel 1964 con Lonnie Liston Smith e Ronnie Cuber, ma già tre anni dopo, nel 1967, il chitarrista è convocato alla corte di Miles Davis:«E’ stata una scuola fondamentale, esperienza indimenticabile e formativa. Suonare con Miles è come andare all’università…», dice ridendo. Di certo Benson si “laurea” e da Davis apprende soprattutto la lezione della libertà espressiva, «la capacità di pensare alla musica e non ai generi, di muoversi liberamente all’interno di strutture sonore differenti», dice ancora, «una lezione che non ho mai dimenticato».
Benson non è un chitarrista di genere, dunque, e lo ha dimostrato in ogni parte della sua carriera, negli anni Sessanta quando prese l’intero “Abbey Road” dei Beatles e lo rilesse alla sua maniera in “The other side of Abbey Road”, solo tre settimane dopo l’uscita del disco originale, o quando, sempre nel 1969, decise di interpretare addirittura “White Rabbitt” dei Jefferson Airplane. Ma ancor più quando nel 1976 pubblicò “Breezin’”, il disco che segnò l’evoluzione definitiva del “Benson style”, stabilendo un punto di svolta essenziale per tutta la musica afroamericana.
«Quel disco è stato per me come un’illuminazione», ricorda Benson, «ho capito che quello che mi interessava era comunicare. Questo è lo scopo finale, la sfida, comunicare qualcosa, far passare sentimenti e sensazioni, ogni sera, davanti a un pubblico. E’ questo che mi tiene vivo, che non mi fa annoiare mai, che mi porta a suonare ancora oggi con lo stesso entusiasmo di venti, trenta o quaranta anni fa. Il desiderio di comunicare mi mantiene vivo e mi fa scoprire cose nuove».
Successi Benson ne ha avuti moltissimi, variando lo schema di base infinite volte, scalando le classifiche con brani come “Turn your love around” o “Gimme the night”, o scrivendo un brano, “The greatest love of all”, portato poi al successo dalla «più brava cantante del mondo», come lui stesso la definisce, Withney Houston, o ancora, come è accaduto recentemente, realizzando un album di meravigliosa classe con Al Jarreau. «Qual è il mio segreto? Amare la musica, avere una magnifica famiglia, non essere invidioso. Credo che questo mi abbia permesso di passare attraverso alti e bassi, e di poter suonare sempre quello che voglio».

Ecco un video di una bellissima versione di Take Five di Brubeck, registrata al Montreaux Jazz Festival del 1986.

Locomotive Jazz Festival 2010

Una festa della musica con tanti appuntamenti, eventi e live inediti per la V edizione del Locomotive Jazz festival.
Da domenica 25 a sabato 31 luglio torna a Sogliano Cavour a approda per la prima volta a Lecce la manifestazione diretta dal sassofonista salentino Raffaele Casarano e organizzata dall'associazione culturale Locomotive in collaborazione con Musicaltra, con il patrocinio di Regione Puglia, Provincia di Lecce, Comune di Lecce, Comune di Sogliano Cavour, CCIAA della Provincia di Lecce, Ferrovie del Sud Est, Azienda di Promozione Turistica di Lecce, Cantieri Teatrali Koreja e il contributo di Colacem, L'Astore, B94, Centro Lama, Edilgreco, Italfrutta, Feelgood, Cinque sensi creativi, Azienda vinicola Duca Carlo Guarini. Questa quinta edizione è dedicata a Nicola Arigliano, grande crooner salentino, recentemente scomparso, che ha portato al grande pubblico le sonorità del jazz e dello swing.
Il Festival è stato presentato martedì 11 maggio alle ore 18.00 presso i Cantieri Teatrali Koreja di Lecce. Alla conferenza stampa sono intervenuti il trombettista Paolo Fresu, il direttore artistico del festival Raffaele Casarano, Salvatore Polimeno (Sindaco del Comune di Sogliano Cavour), Salvatore Tramacere (Direttore Artistico Cantieri Teatrali Koreja), Danilo Scorrano (Assessore alla Cultura del Comune di Sannicola), Giuseppe Casarano (coordinamento generale LJF), Federico Primiceri (orafo e designer).
Nel corso dell'incontro è stato proiettato anche un estratto da "I musicanti suonano... e la gina balla il giezz" un documentario della regista Chiara Idrusa Scrimieri che racconterà i 5 anni del festival e che sarà distribuito da dicembre in edicola con quiSalento.
Quest'anno il tema del festival è dedicato alla Moda del Jazz, per ripercorrere quel sottile filo rosso che da sempre lega la musica al look. Due mondi, la moda e il jazz, che appaiono lontani ma che a volte sono addirittura speculari. Il Locomotive Jazz Festival si apre dunque a una nuova forma d'arte coinvolgendo artisti salentini e nomi noti del jazz internazionale e della moda. L'attenzione si concentrerà sulle connessioni tra musica e moda attraverso le performance artistiche che si susseguiranno nei giorni del festival. Spazio quindi agli eventi, ai live e ai progetti originali Locomotive come "Il jazz salentino incontra...", "Le jam del Birdland",
"Food&Fashion", "L'Alba del Jazz" e all'attesissimo viaggio musicale sui vagoni delle ferrovie del Sud-Est.
Si parte infatti domenica 25 luglio con From Station to Station - Bandita, un progetto ideato dal trombettista sardo Paolo Fresu, nato nell'ambito del suo festival a Berchidda (Time in Jazz) e che per la seconda volta arriva in Puglia, dopo la fortunata esperienza della scorsa edizione. Si tratta di un itinerario musicale a bordo dei treni delle ferrovie del Sud Est che partendo da Bari, percorreranno la regione a ritmo di musica e giungeranno in serata a Lecce. From Station to Station è un evento nato per far incontrare la musica jazz con quella delle bande popolari in un contesto inedito e suggestivo per un viaggio musicale sui binari che attraversano la Puglia. Il Locomotive Jazz Festival nasce infatti anche grazie alla collaborazione con Paolo Fresu, cittadino onorario di Sogliano Cavour, che segue sin dall'inizio la musica del sassofonista salentino e che produrrà (con la sua etichetta) il suo nuovo disco "Argento", la cui uscita è prevista per la fine di giugno.
"Il jazz è una musica che si sposa con le realtà locali", sottolinea Paolo Fresu, "anche per scoprire luoghi, usanze, gusti e profumi. Quando abbiamo iniziato a Berchidda noi ci siamo posti il problema di non fare un festival come tanti altri. Volevamo fare qualcosa di diverso che non si potesse trovare altrove. E da oltre venti anni ci siamo riusciti e il fatto che oggi Berchidda possa seminare in altri luoghi, come a Sogliano, è il più bel segno. Il Locomotive deve tutto alla capacità creativa e organizzativa, ma anche all'umanità che si respira. Il Festival deve essere vissuto come una festa. Per fare un festival non basta mettere tre concerti insieme, ma bisogna mettere in piedi qualcosa attraverso la quale si tessono progetti, si alimentano incontri, grazie alla quale la gente possa scoprire lingue nuove. Solo così la musica diventa il vero linguaggio universale. Fare un festival di jazz in un piccolo paese, consente anche di riflettere sul concetto di dinamica culturale nuova. Una volta si facevano i festival e i grandi eventi solo nei grandi centri, spesso oggi si tengono nelle periferie e diventano luoghi dove un concerto diventa molto più bello che altrove. Dalle nostre parti si dice "Di rovi da togliere ce ne sono sempre molti" ma con il lavoro si può fare. La periferia non si accontenta di "comprare" i concerti ma costruisce qualcosa che poi si esporta. Secondo me", conclude Fresu, "ci sono meno soldi per la cultura ma sempre più gente ha voglia di condividere. La gente non compra i dischi ma va ai concerti. Le manifestazioni come quelle che si tengono a Berchidda e Sogliano sono la dimostrazione che c'è un potenziale enorme".
Tra gli appuntamenti da non perdere di questa edizione la speciale serata La Moda del Jazz che si terrà martedì 27 luglio nell'Anfiteatro Romano di Piazza Sant'Oronzo a Lecce. Un evento che nasce dal desiderio di condividere e divulgare il concetto di "forma d'arte" nelle sue più eleganti espressioni, musica e moda, interpretate dal talento dei due giovani salentini Raffaele Casarano e Federico Primiceri, eclettico orafo e designer salentino le cui opere si distinguono per originalità e innovazione. "La Moda del Jazz" è il racconto, tra suono e immagine, di un decennio idilliaco per la musica e la moda, anni in cui le due arti divennero quasi complementari. Siamo negli anni 20, l'anima stravagante del jazz ha rivoluzionato il mondo della musica, ha portato innovazione e stile, nuove sensazioni provocate da suoni incostanti ed improvvisi, stregando l'elite di spettatori con un faro di sperimentazione. Come nella musica, anche nella moda la grinta è rivolta verso l'ingegno e la novità, introducendo nuovi parametri di stile e tendenza, dove le contaminazioni derivate dall'architettura e dalla pittura iniziano a stravolgere le vecchie regole del fashion design. La moda garçonne conquista l'Europa con braccia e spalle ingioiellate, con speciali invenzioni da oreficeria, insieme a geometrie e grandezze che giocano ruoli affabili e ingegnosi. Partendo da queste suggestioni, Raffaele Casarano e Federico Primiceri danno vita a un vero e proprio spettacolo, un ibrido tra un concerto live, una sfilata di moda e un'installazione artistica.
Dopo il prologo sui binari e l'appuntamento a Lecce, dal 29 al 31 luglio (programma ancora provvisorio) il Festival entra nel vivo e torna nella sua naturale location di Sogliano Cavour. La tre giorni parte giovedì 29 luglio alle 21.00 con una lunga serata all'insegna della musica con gli incontri in jazz targati Locomotive. Per Il Jazz Salentino Incontra... alle 21.00 la giovane flautista salentina Giorgia Santoro si esibirà insieme al jazzista romano Paolo Damiani, compositore, direttore d'orchestra, autore, contrabbassista e violinista. Alle 22.00 il contrabbassista Gianpaolo Laurentaci incontra il sassofonista friulano Francesco Bearzatti. Alle 23.00 a calcare il palco del Locomotive sarà Raffaele Casarano che presenterà il nuovo lavoro discografico Argento, prodotto da Paolo Fresu per la Tuk Music e Patrizio Romano per My Favorite Record.
Venerdì 30 luglio si parte alle 21.00 con Iancu, spettacolo con Fabrizio Saccomanno a cura dei Cantieri Teatrali Koreja. A seguire (ore 22.00) sul palco del Locomotive sarà di scena il Francesco Pennetta Quartet. Il batterista salentino presenterà ufficialmente il suo cd "Pulse" accompagnato dal sassofonista Martin Jacobsen, dal chitarrista Francesco Palmitessa e dal contrabbasista Pietro Ciancaglini. Alle 23.00, per gli incontri in jazz, spazio all'Orchestra di Fiati del Conservatorio Tito Schipa e a Gianluigi Trovesi, clarinettista, sassofonista e compositore di fama internazionale.
Sabato 31 luglio suggestivo appuntamento con l'Alba del Jazz presso la collina di San Mauro a Sannicola (Le). Le note del Vertere String Quarter e Daniele di Bonaventura accompagneranno il saluto al nuovo giorno che arriva. Alle 21.00 a calcare il palco del Locomotive sarà il Luca Aquino Quartet. A seguire la grande festa-concerto - con la Locomotive Percussion Orchestra e con tanti ospiti - che concluderà questa edizione del Locomotive Jazz Festival.
Anche quest'anno, dopo l'esperienza della passata edizione, tornano i pranzi alla Masseria L'Astore di Cutrofiano. Da giovedì 29 e sabato 31 luglio alle 13.00 appuntamento con Food & Fashion, pranzo musicale con degustazione di piatti e vini locali. Il primo pranzo è con Chat Noir, trio jazz che ha esordito per Universal Music su etichetta Emarcy. Venerdì 30 luglio nuovo appuntamento con Roberto Gemma Trio, mentre sabato 31 spazio a Roberto Cipelli piano solo.
Giovedì 29 e venerdì 30 (dopo la mezzanotte) al Kaibo di Marina di Pescoluse (Salve) appuntamento con le Jam del Birdland e il featuring di Max Baccano (dj resident) e (nella prima serata) Alessio Bertallot per il Locomotive Night Party che sarà trasmessa in diretta su Telenorba 7.
Raffaele Casarano si avvicina allo studio del sax all'età di sette anni con una forte passione per la musica, in particolare il jazz, intraprende gli studi c presso il Conservatorio "N. Piccinni" di Bari. Si diploma nel 2004 presso il Conservatorio "Tito Schipa" di Lecce, studia successivamente jazz con Roberto Ottaviano. Frequenta inoltre master classe con artisti come Dave Liebman, Emiliano Rodriguez, Maurizio Giammarco. Tra poche settimane uscirà anche "Argento", nuovo lavoro discografico di Raffaele Casarano, prodotto da Paolo Fresu per la Tuk Music e Patrizio Romano per My Favorite Record. Il disco conclude la trilogia del progetto Locomotive dopo "Legend", disco d'esordio (Dodicilune, 2006) totalmente acustico e con la partecipazione dell'Orchestra Sinfonica del Conservatorio "Tito Schipa" di Lecce, e "Replay" (Universal, 2009).

Reso noto il programma di Umbria Jazz 2010

Umbria Jazz, è oramai un vero e proprio punto di riferimento nel mondo della musica e dei festival musicali. Allo stesso tempo è unanimemente riconosciuto come il Festival musicale di maggior qualità in Italia, e tra i più apprezzati a livello internazionale.
Dalla prima edizione nel 1973 molto è cambiato, ma non lo spirito e l’identità che, insieme alla qualità delle proposte artistiche, ne hanno fatto la fortuna.
A confermare questa attitudine sono i nomi in cartellone per l’edizione che si svolgerà a Perugia dal 9 al 18 luglio: grandi protagonisti della scena jazz come SONNY ROLLINS, PAT METHENY, CHICK COREA, THE MANHATTAN TRANSFER, HERBIE HANCOCK, ROY HARGROVE, nuove ed interessantissime proposte come MELODY GARDOT, grandi voci come TONY BENNETT E MARIO BIONDI, il grande jazz italiano con ENRICO RAVA e STEFANO BOLLANI, star che hanno fatto la storia come MARK KNOPFLER. Nomi che non hanno bisogno di presentazioni e che sono in grado di soddisfare i gusti musicali di qualsiasi appassionato.
L’edizione di quest’anno vanta numerosi anniversari e progetti speciali: festeggiano infatti rispettivamente ottanta e settant’anni Sonny Rollins e Herbie Hancock, mentre i Manhattan Transfer raggiungono i quaranta anni di attività.
Tra i progetti speciali la serie di sei concerti dedicati agli artisti ECM, casa discografica tedesca tra le più apprezzate per qualità e artisti prodotti, e l’omaggio alla musica del chitarrista gitano Django Reinhardt.
Un Festival che conferma il trend intrapreso da alcuni anni: musica a trecentosessanta gradi per tutti ma con un’anima legata indissolubilmente al jazz e alla storia di questa musica straordinaria.
Location principale rimane l’Arena Santa Giuliana, dove avranno spazio i grandi nomi e che, per la serata finale, aprirà le sue porte gratuitamente per il progetto “Sons e Movimentos do Desejo”.
Il Teatro Morlacchi e l’Oratorio Santa Cecilia poi, luoghi di riferimento per il jazz più classico e d’autore italiano ed internazionale dove si intrecceranno le note di musicisti affermati con quelle di stelle emergenti e giovani dal futuro più che promettente.
Abbinamento tra musica e cibo infine alla Bottega del Vino, al Ristorante La Taverna e all’Hotel Brufani che ospiteranno gli aperitivi, i pranzi e le cene.
Ci sono infine gli spazi all’aperto, gratuiti: Piazza IV Novembre e i giardini Carducci. È l’Umbria Jazz che rappresenta la continuità con il passato, un omaggio doveroso ad una formula che ha creato il “caso” Umbria Jazz nel mondo dello spettacolo e nel costume. Da non dimenticare infine l’ormai tradizionale street parade della brass band di New Orleans che riporta tra le vie del centro la storia e le radici del jazz.
Il miracolo di Umbria Jazz è stato in definitiva di aver creato un evento popolare, dai grandi numeri e dalla forte risonanza immergendolo in un ambiente assolutamente peculiare che non ha riscontri in tutto il mondo e che lo rendono unico ed irripetibile.
Per maggiori informazioni: www.umbriajazz.com