mercoledì 19 maggio 2010

George Benson

Il noto giornalista musicale Ernesto Assante ha pubblicato sul suo blog Media-Trek un bel post dedicato al chitarrista George Benson:
C’è una bellissima definizione di George Benson, coniata da Ken Burns, uno dei grandi storici del jazz americano: “Se nel jazz esiste qualcuno che ha fatto quello che hanno fatto i Beatles nel pop, questo è George Benson”. E Burns ha sicuramente ragione, perché George Benson, da Pittsburg, Pensylvania, non è soltanto uno dei più grandi chitarristi della storia del jazz, ma un musicista fondamentale nel divulgare il linguaggio della musica afroamericana, fondendolo con classe e maestria inarrivabili, con il pop, il rock e la grande canzone, creando un inconfondibile “Benson Style”, che in molti hanno cercato di imitare. E’ sbagliato, come fanno in molti, definire lo stile di Benson “smooth jazz”, jazz morbido e vellutato, perché l’aggettivo tende a sminuirne l’efficacia e la forza, che invece nella musica del chitarrista americano sono determinanti.
L’esordio di Benson è tutto nel jazz, nel 1964 con Lonnie Liston Smith e Ronnie Cuber, ma già tre anni dopo, nel 1967, il chitarrista è convocato alla corte di Miles Davis:«E’ stata una scuola fondamentale, esperienza indimenticabile e formativa. Suonare con Miles è come andare all’università…», dice ridendo. Di certo Benson si “laurea” e da Davis apprende soprattutto la lezione della libertà espressiva, «la capacità di pensare alla musica e non ai generi, di muoversi liberamente all’interno di strutture sonore differenti», dice ancora, «una lezione che non ho mai dimenticato».
Benson non è un chitarrista di genere, dunque, e lo ha dimostrato in ogni parte della sua carriera, negli anni Sessanta quando prese l’intero “Abbey Road” dei Beatles e lo rilesse alla sua maniera in “The other side of Abbey Road”, solo tre settimane dopo l’uscita del disco originale, o quando, sempre nel 1969, decise di interpretare addirittura “White Rabbitt” dei Jefferson Airplane. Ma ancor più quando nel 1976 pubblicò “Breezin’”, il disco che segnò l’evoluzione definitiva del “Benson style”, stabilendo un punto di svolta essenziale per tutta la musica afroamericana.
«Quel disco è stato per me come un’illuminazione», ricorda Benson, «ho capito che quello che mi interessava era comunicare. Questo è lo scopo finale, la sfida, comunicare qualcosa, far passare sentimenti e sensazioni, ogni sera, davanti a un pubblico. E’ questo che mi tiene vivo, che non mi fa annoiare mai, che mi porta a suonare ancora oggi con lo stesso entusiasmo di venti, trenta o quaranta anni fa. Il desiderio di comunicare mi mantiene vivo e mi fa scoprire cose nuove».
Successi Benson ne ha avuti moltissimi, variando lo schema di base infinite volte, scalando le classifiche con brani come “Turn your love around” o “Gimme the night”, o scrivendo un brano, “The greatest love of all”, portato poi al successo dalla «più brava cantante del mondo», come lui stesso la definisce, Withney Houston, o ancora, come è accaduto recentemente, realizzando un album di meravigliosa classe con Al Jarreau. «Qual è il mio segreto? Amare la musica, avere una magnifica famiglia, non essere invidioso. Credo che questo mi abbia permesso di passare attraverso alti e bassi, e di poter suonare sempre quello che voglio».

Ecco un video di una bellissima versione di Take Five di Brubeck, registrata al Montreaux Jazz Festival del 1986.

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